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Strage dei monaci di Tibhirine. La testimonianza dell’ultimo dei sopravvissuti

“Il posto era organizzato bene, c’era il muro di recinzione con una piccola porta. Non c’era il cancello. Ci siamo svegliati per il rumore delle voci da fuori, allora ho pensato: ‘Eccoli!’. Perché c’era una persona che faceva il palo, e la piccola porta non era stata chiusa a chiave con il catenaccio. Non era la prima volta che venivano di notte, per chiedere un dottore, una medicina o cose del genere. Io ho aspettato che bussassero, ma non lo hanno fatto”. È la testimonianza dell’ultimo sopravissuto dei monaci di Tibhirine, in Algeria, dove la notte del 27 marzo 1996 furono sequestrati sette monaci trappisti dal Monastero di Nostra Signora dell’Atlante e uccisi il 21 maggio. Frère Jean-Pierre, originario della Lorena e oggi ultra novantenne, si racconta in occasione dell’iniziativa di preghiera per i martiri del nostro tempo promossa oggi alle 19 nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola dalla diocesi di Roma e dalla Comunità di Sant’Egidio: “Parlavano tra loro. Sembravano pochi, invece il guardiano in seguito mi ha detto che erano una ventina e avevano circondato la casa. A un certo punto sento la porticina che si apre e dalla finestra vedo un uomo con il passamontagna e il fucile in spalla entrare. Sembrava solo, non potevo vedere gli altri dietro il muro ma li sentivo…”.

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