I titoli dei giornali e la Bbc annunciano l’ennesima “settimana cruciale su Brexit”, quella durante la quale tutto potrebbe cambiare. Dicono che la premier Theresa May potrebbe essere costretta a dimettersi dai sostenitori più accesi del “no deal”, l’uscita senza accordo dall’Unione. O che il Parlamento potrebbe votare per una forma leggera di recesso dall’Unione, alternativa a quella proposta dal governo. David Hine, professore emerito del college “Christ Church” di Oxford offre la sua interpretazione. “È impossibile fare previsioni ma quello che è certo è che l’opinione pubblica, nel Regno Unito, è cambiata”, spiega Hine, specializzato in democrazia ed Europa, direttore del “Centro per lo studio del governo democratico” della famosissima cittadina universitaria, autore anche di alcuni volumi sull’economia italiana.
No al Brexit. “La petizione per chiedere che la premier Theresa May fermi il processo del Brexit, revocando l’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea, ha raggiunto 5,4 milioni di firme. Così come la partecipazione di un milione di persone alla marcia per le strade di Londra. Sono cifre notevoli, che hanno superato le aspettative degli organizzatori”, spiega Hine. Secondo lo studioso, istituti di sondaggio affidabili come “YouGov” dimostrano che, ormai, c’è una chiara maggioranza per rimanere dentro l’Unione europea. “II risultato del referendum del 23 giugno 2016, quando il 52% ha votato per staccarsi da Bruxelles, è stato capovolto”: “Oggi direi che il 55% dei cittadini britannici sono per il ‘Remain’. Attenzione, però, perché il cambiamento non è stato così determinante da avere un impatto sui politici. Né sappiamo che cosa succederà davvero se si tornasse al voto perché la campagna elettorale sarebbe velenosa e dividerebbe profondamente, ancora una volta, il Paese”.
Nulla è cambiato. Secondo Hine, le folle di Londra e i milioni che stanno firmando la petizione non cambieranno nulla perché “i deputati e i ministri Tory sono più preoccupati di preservare la struttura di potere del partito e del governo che di sintonizzarsi sull’elettorato di massa. Inoltre, in questo momento, si stanno discutendo le dimissioni della premier Theresa May e il gabinetto è impegnato su questo fronte”.
“Theresa, hai le ore contate”. Per l’esperto di Oxford, il titolo del “Sun”, il vendutissimo tabloid conservatore, di questa mattina, è molto significativo. Considerato, soprattutto, che il giornale, fino ad oggi, ha sostenuto la May. “Il “Sun” si è messo dalla parte di Boris Johnson, Ian Duncan Smith e degli altri conservatori che hanno promesso di firmare il ‘withdrawal agreement’, l’accordo concordato dalla premier con l’Ue, se il primo ministro si dimette”, dice Hine.
Chi succederà alla May? Per l’esperto, le energie di Westminster, in questo momento, sono concentrate su chi condurrà il negoziato con l’Ue, una volta che il “withdrawal agreement” è stato approvato. “Non dimentichiamoci che questo trattato mantiene il Regno Unito dentro l’unione doganale fino al dicembre 2020. Dopodiché il nostro rapporto con la Ue deve essere completamente rinegoziato ed è questa fase che è cruciale perché deciderà del rapporto di lungo periodo tra Gran Bretagna e Ue”. È chiaro che Theresa May ha le ore contate e si è anche impegnata a dimettersi. Il partito conservatore al potere vuole che se ne vada nel momento più conveniente, ovvero appena l’accordo fino al dicembre 2020 viene approvato dal Parlamento. A quel punto i “Brexiteers”, come Boris Johnson, che vogliono una rottura netta con l’Ue, festeggeranno il loro “momento di gloriosa indipendenza” e cercheranno di conquistare il controllo del partito.
Tanta nebbia ai Comuni. Il docente di Oxford scommette soltanto su una possibilità, questa settimana. “Sono quasi sicuro che il Parlamento deciderà di spostare la data del Brexit dal 29 marzo al 12 aprile, come suggerito dall’Unione europea”, spiega Hine: “Tutte le altre eventualità sono incerte. La premier potrebbe dimettersi o soltanto promettere di dimettersi. Potrebbe riuscire a convincere i ‘Brexiteers’ come Boris Johnson a sostenerla e far approvare il ‘withdrawal agreement’. Oppure il Parlamento potrebbe togliere il controllo al governo con una serie di ‘indicative votes’, voti indicativi, su dove si trova il consenso della maggioranza. Niente di tutto questo è certo”.
Via d’uscita. Secondo Hine il partito laburista potrebbe unirsi dietro il piano di un “soft Brexit”, un’uscita morbida del Regno Unito dall’Unione europea, che trovi una maggioranza a Westminster, e proporlo alla premier Theresa May. “Il vice della May, David Lidington, ha lavorato in questa direzione ma il gabinetto, nel suo complesso, è contrario perché vuole l’approvazione del ‘withdrawal agreement’ benché non vi sia una maggioranza per sostenerlo. In questo momento, nel Regno Unito, il governo ha il potere ma non conta su una maggioranza in Parlamento e la politica è bloccata”.
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