“Accogliere e integrare”, per essere “faro di civiltà e maestra di accoglienza”, all’altezza dei suoi compiti e della sua storia. “Perché tanto splendore non si degradi”, per favorire una “rinascita morale e spirituale”. Sono gli imperativi del discorso del Papa in Campidoglio. Quarto Papa a salire, per la prima volta, al Colle dove tutto è nato, Francesco ha tracciato un ritratto a 360 gradi dei 2.800 anni della storia di Roma, all’insegna del continuo rimando tra il glorioso passato e le difficoltà del presente di una città che ha definito “polo d’attrazione e cerniera, scrigno, organismo delicato” a vocazione universale. Quarantacinque anni dopo, Bergoglio ha citato il convegno sui “mali di Roma” per chiedere non solo all’amministrazione e alle istituzioni, ma ad ogni abitante, di adoperarsi perché la Capitale rimanga fedele alla sua vocazione di “città ospitale”. Solo così si può affrontare la “sfida epocale” delle migrazioni, superando le paure e generando “una società pacifica”: “Roma città dei ponti, mai dei muri!”, l’esclamazione a braccio.
“Cerniera tra il nord continentale e il mondo mediterraneo, tra la civiltà latina e quella germanica, tra le prerogative e le potestà riservate ai poteri civili e quelle proprie del potere spirituale”. È la prima definizione di Roma, nelle parole di Papa Francesco. “Grazie alla forza delle parole evangeliche, si è qui inaugurata quella provvida distinzione, nel rispetto reciproco e collaborativo per il bene di tutti, tra l’autorità civile e quella religiosa”, dice il Papa tornando su un tema caro anche ai suoi predecessori. Roma, secondo Francesco, “obbliga il potere temporale e quello spirituale a dialogare costantemente, a collaborare stabilmente nel reciproco rispetto; e richiede anche di essere creativi, tanto nella tessitura quotidiana di buone relazioni, come nell’affrontare i numerosi problemi, che la gestione di un’eredità così immensa porta necessariamente con sé”.
“Roma, lungo i suoi quasi 2.800 anni di storia, ha saputo accogliere e integrare diverse popolazioni e persone provenienti da ogni parte del mondo, appartenenti alle più varie categorie sociali ed economiche, senza annullarne le legittime differenze, senza umiliare o schiacciare le rispettive peculiari caratteristiche e identità”,
il riferimento alla plurimillenaria storia capitolina, inteso come monito anche per l’oggi.
Roma, nell’excursus del Papa, “è un organismo delicato, che necessita di cura umile e assidua e di coraggio creativo per mantenersi ordinato e vivibile, perché tanto splendore non si degradi, ma al cumulo delle glorie passate si possa aggiungere il contributo delle nuove generazioni, il loro specifico genio, le loro iniziative, i loro buoni progetti”.
La Città eterna, la metafora scelta da Francesco, “è come un enorme scrigno di tesori spirituali, storico-artistici e istituzionali”. Il Campidoglio, insieme alla Cupola michelangiolesca e al Colosseo, sono “gli emblemi e la sintesi” della sua vocazione universale, “portatrice di una missione e di un ideale adatto a valicare i monti e i mari e ad essere narrato a tutti, vicini e lontani, a qualsiasi popolo appartengano, qualsiasi lingua parlino e qualunque sia il colore della loro pelle. Quale Sede del Successore di San Pietro, è punto di riferimento spirituale per l’intero mondo cattolico”.
È “decisivo” che Roma si mantenga all’altezza dei suoi compiti e della sua storia – l’appello del Papa – che sappia anche nelle mutate circostanze odierne essere faro di civiltà e maestra di accoglienza, che non perda la saggezza che si manifesta nella capacità di integrare e far sentire ciascuno partecipe a pieno titolo di un destino comune”.
“La Chiesa che è a Roma vuole aiutare i romani a ritrovare il senso dell’appartenenza a una comunità tanto peculiare”, assicura il vescovo di Roma, che rivolge un appello a ciascuno dei suoi abitanti: “Tanto i privati cittadini come le forze sociali e le pubbliche istituzioni, la Chiesa cattolica e le altre comunità religiose, tutti si pongano al servizio del bene della città e delle persone che la abitano, specialmente di quelle che per qualsiasi ragione si trovano ai margini, quasi scartate e dimenticate o che sperimentano la sofferenza della malattia, dell’abbandono o della solitudine”. Poi la menzione del Convegno “sui mali di Roma”, che “si impegnò a tradurre in pratica le indicazioni del Concilio Vaticano II e consentì di affrontare con maggiore consapevolezza le reali condizioni delle periferie urbane, dove erano giunte masse di immigrati provenienti da altre parti d’Italia”. “Oggi quelle e altre periferie hanno visto l’arrivo, da tanti Paesi, di numerosi migranti fuggiti dalle guerre e dalla miseria, i quali cercano di ricostruire la loro esistenza in condizioni di sicurezza e di vita dignitosa”, il rimando all’attualità, dal quale nasce un preciso impegno:
“Roma, città ospitale, è chiamata ad affrontare questa sfida epocale nel solco della sua nobile storia; ad adoperare le sue energie per accogliere e integrare, per trasformare tensioni e problemi in opportunità di incontro e di crescita”.
“Roma, fecondata dal sangue dei martiri, sappia trarre dalla sua cultura, plasmata dalla fede in Cristo, le risorse di creatività e di carità necessarie per superare le paure che rischiano di bloccare le iniziative e i percorsi possibili”, l’appello del Papa:
“Roma città dei ponti, mai dei muri!”.
“Non si temano la bontà e la carità!”, l’esortazione finale: “Esse sono creative e generano una società pacifica, capace di moltiplicare le forze, di affrontare i problemi con serietà e con meno ansia, con maggiore dignità e rispetto per ciascuno e di aprirsi a nuove occasioni di sviluppo”: al servizio di tutti, specialmente dei più poveri e svantaggiati, per la cultura dell’incontro e per un’ecologia integrale.