“A me e alla mia équipe hanno detto dall’agenzia di viaggio che non possono prenotare i nostri voli per la prossima sessione plenaria di aprile a Strasburgo perché non si sa se noi britannici saremo ancora in carica” come eurodeputati se il Regno Unito dovesse uscire dall’Ue. “L’insicurezza è reale, è qui. È una tortura psicologica”. Parla al Sir Alyn Smith, eurodeputato scozzese del gruppo dei Verdi, attendendo da Strasburgo di capire che cosa ne sarà di lui, della Scozia e del Regno Unito. Parlando nell’emiciclo dell’Euroassemblea mercoledì 27 marzo, Smith ha ottenuto grande attenzione e apprezzamenti da molti colleghi: “il miglior Brexit è il no Brexit”, ha tra l’altro affermato. “Tutti pensano che gli eurodeputati saranno risparmiati: no, noi saremo i primi ad essere sacrificati”; per la gente, il Brexit sarà un “inimmaginabile disastro auto-inflitto”. Smith paragona questo “momento molto pericoloso nel Regno Unito” al clima che c’era in Jugoslavia, “anche se in Scozia non avremo mai violenza”. Sull’Irlanda invece i rischi sono più reali. Smith mentre parla, tende l’orecchio a Londra dove, in queste ore, possono accadere grandi novità per la politica britannica e per il Brexit.
Quanto la preoccupa questa situazione?
Sono molto preoccupato per ciò che sta avvenendo. Ricevo tutti i giorni mail da italiani in Scozia o scozzesi in Italia, cittadini britannici in giro per l’Unione europea, da persone veramente preoccupate per il loro futuro, affannate per la loro vita di tutti i giorni. E io condivido le loro preoccupazioni. Anche io ho molte incertezze e anche sul mio ruolo qui. Mi sembra che Westminster non stia affrontando la cosa seriamente e non prenda decisioni. Il “no-deal” è una possibilità che può accadere quasi per errore. Abbiamo bisogno di vedere un po’ di serietà dai parlamentari di Westminster adesso.
Perché è così difficile arrivare in fondo al recesso dall’Ue?
È difficile perché la premier Theresa May ha fatto un errore fondamentale, avviando il processo dell’articolo 50 prima di avere alcun’idea, prima che il suo partito fosse riunito attorno a un’idea di che tipo di relazione volessero con l’Ue. Dalla Scozia, vediamo lassù l’Islanda, la Norvegia e sappiamo che ci sono altri modi per interagire con l’Ue, ma bisogna avere un’idea di che cosa si vuole in un negoziato o altrimenti i negoziati diventano un disastro. Ed è ciò che abbiamo visto negli ultimi due anni. Il governo scozzese ha cercato di trovare un compromesso con la signora May e i conservatori, ma ad ogni occasione hanno respinto i nostri sforzi e ora ci troviamo nella situazione vergognosa per cui due giorni prima di quando Brexit dovrebbe avvenire, le persone non hanno ancora chiarezza sulla loro vita. E ciò che può avvenire è l’uscita, ma che cosa possa accadere dopo è una domanda completamente aperta. Ed è vergognoso.
Un nuovo referendum cambierebbe veramente la situazione?
Io penso ci siano stati molti cambiamenti rispetto al referendum del 2016. In Scozia noi voteremmo certamente di nuovo per rimanere nell’Ue, siamo intorno al 75%. Il Galles ha cambiato idea e anche in Inghilterra abbiamo visto un sacco di persone pentirsi per la loro decisione di lasciare l’Ue. Molte delle promesse che erano state fatte durante la compagna referendaria da parte dei sostenitori del “leave” non si sono realizzate e non possono realizzarsi: non puoi avere gli stessi benefici dell’essere membro dell’Unione europea pur non essendolo. Se sei nel club, ci sei; se no, hai una relazione differente. Penso che tante persone abbiano cambiato idea. Cinque milioni hanno firmato la petizione al parlamento del Regno Unito per la revoca dell’articolo 50, un milione di persone hanno manifestato a Londra lo scorso fine settimana: è cambiato il clima su questo. Penso che un secondo referendum potrebbe essere un modo per uscire da questo impasse.
Perché voi scozzesi siete così affezionati all’Ue?
In Scozia in occasione del nostro referendum sull’indipendenza nel 2014 abbiamo avuto un dibattito molto vivace sulla stessa indipendenza, il nostro posto e il nostro ruolo nel mondo. Siamo un Paese di cinque milioni e mezzo di abitanti, un po’ più grande dell’Irlanda, più o meno come la Danimarca, la Svezia, la Finlandia. Siamo un Paese europeo e vogliamo essere europei. Sappiamo che cosa significhi essere alla periferia del continente, esportare così tante persone della nostra gente come abbiamo fatto in tutta la nostra storia. Noi apprezziamo la libertà di movimento, la solidarietà internazionale e il 62% lo ha detto molto chiaramente con il voto del giugno 2016, in tutte le nostre regioni, città, aree rurali, isole. Abbiamo votato tutti per restare e vogliamo restare nell’Unione europea. Se veniamo fatti uscire contro la nostra volontà, allora l’indipendenza potrebbe essere la nostra via per rientrare. L’indipendenza è di nuovo un tema da discutere.
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