“Siamo un Paese cattolico di grande fede. Con coraggio affrontiamo, da diversi anni, una crisi drammatica e senza fine”.
Don Francisco Morales è il rettore del seminario Santa Rosa da Lima di Caracas. Posto su un’altura, immerso nel verde, alla periferia della capitale, la struttura sembra un’oasi, lontana dalle tensioni nel Paese dove si fronteggiano il Governo di Nicolas Maduro e l’Opposizione del presidente dell’Assemblea nazionale, Juan Guaidò. Ma non è così, si affretta a spiegare il Rettore: “i nostri seminaristi, 62 provenienti da 11 diocesi venezuelane, sentono come tutti i morsi della crisi che non è solo politica e sociale (carenza di cibo, medicine, acqua e luce) ma anche morale perché mina ogni certezza per il futuro”. Mentre parla lancia cenni ai suoi confratelli. Vuole sapere se è tornata l’energia elettrica necessaria per riattivare le pompe e riempire le cisterne di acqua.
Il Santa Rosa da Lima, spiega don Francisco, è uno dei 14 seminari, “ai miei tempi erano solo sei”, dove si formano i nuovi sacerdoti venezuelani chiamati a stare tra i fedeli delle oltre 3300 parrocchie del Paese, spesso ubicate in barrios poverissimi. “Grazie alla sua presenza tra la gente,
la Chiesa è l’unica istituzione credibile in un Venezuela che muore di povertà.
Nelle parrocchie cerchiamo di dare un piatto di pasta, un po’ di ascolto e conforto”.
E le vocazioni sono in crescita. “Questa crisi per molti nostri giovani è un motivo di scoperta della propria fede e della propria vocazione” dice il Rettore che ci tiene a puntualizzare:
“i giovani non entrano in seminario per avere un tetto o un pasto sicuri”.
“Sono vocazioni vere, autentiche. Si tratta di persone che hanno maturato la scelta di seguire il Signore proprio in questa particolare situazione sociale e dunque di mettersi al servizio del popolo e di dedicarsi alla riconciliazione e alla ricostruzione del tessuto umano del Venezuela. Qualcuno, addirittura, ha scelto di non seguire la propria famiglia emigrante in Colombia e Ecuador per restare in seminario.
Sono giovani che hanno capito che la loro chiamata è qui in mezzo ai venezuelani”. Ma non tutte le storie sono a lieto fine: “nei nostri seminari, tra gli oltre 1.100 aspiranti al sacerdozio, c’è chi decide di uscire e chi invece è costretto a lasciare il cammino per cercare un lavoro e aiutare la famiglia povera”.
In piazza con il popolo. Per quanto impegnati nello studio e nel tirocinio pastorale i seminaristi seguono da vicino le vicende politiche del Paese. “Molti di loro – rivela padre Francisco – chiedono di partecipare alle manifestazioni in piazza. Lo ritengo un utile esercizio di cittadinanza capace di formare la coscienza dei giovani. Sappiamo, infatti, che un giorno il Venezuela avrà bisogno di sacerdoti capaci di ricucire gli strappi della crisi”. La vicinanza della Chiesa al popolo si riconosce anche da questo atteggiamento. Non si contano più i pronunciamenti dei vescovi venezuelani contro il Governo Maduro ritenuto negligente per il modo in cui sta affrontando la crisi e i recenti black out. Come non si contano più gli appelli alla solidarietà, al rispetto dei diritti del popolo e all’unità per salvare il Paese. La strada è quella di “elezioni libere e trasparenti” con la condanna di “ogni abuso e manipolazione del potere politico”.
Richiesta di aiuto. La pensa così anche padre Ricardo Barreto, rettore del Seminario interdiocesano “san Pedro Apostolo” di La Guaira, città costiera a circa 20 chilometri da Caracas, dove si trova il porto della capitale venezuelana. Qui la crisi si riconosce dai container vuoti accatastati uno sull’altro, gru ferme e nessuna nave. “Nel nostro quartiere di Macuto – dichiara il sacerdote – l’acqua non c’è da 5 mesi, il sistema idrico è collassato. In seminario abbiamo un pozzo che serve anche per dissetare la gente del quartiere. Ma se accade come in questi giorni di black out che le pompe restano ferme allora è dura per tutti”. Attualmente nel seminario ci sono 52 studenti di diverse diocesi. Quasi tutti sono nati sotto il regime di Hugo Chavez (1999-2013) e quindi vivono dall’inizio la crisi umanitaria e politica del Paese.
“Quella giustizia sociale invocata da Chavez con il suo progetto rivoluzionario non è mai arrivata – ricorda il Rettore – la proprietà privata è stata cancellata, il Governo ha espropriato terre e smantellato industrie”. Il risultato? “tanta fame e povertà. Il Venezuela sembra un paese in guerra dove la Chiesa è l’unico riferimento per la popolazione. Forse è anche per questo che Maduro evita di attaccarla direttamente”.
Come per Caracas anche per la diocesi di La Guaira si è registrata una crescita di vocazioni: “un solo ingresso in seminario nel 2018, ben 6 quest’anno”. Ma cresce anche la richiesta di aiuto: “i preti non hanno denaro per aiutare i fedeli, le parrocchie sono povere. Una colletta domenicale può fruttare non più di 2 dollari, nulla rispetto ai bisogni delle persone”.
La risposta di Acs. “Un obolo della vedova” che richiama tanta generosità come quella di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) che dal 2014 al 2018 ha raccolto per il Venezuela oltre 2,5 milioni di euro di aiuti. Circa la metà (49%) destinata alle intenzioni delle messe, “l’unico mezzo di sostentamento per i preti e le parrocchie” dice senza mezzi termini padre Ricardo. “Non abbandoneremo i venezuelani e per questo continueremo a sostenere i loro sacerdoti” conferma al Sir il direttore di Acs Italia, Alessandro Monteduro. Un impegno ribadito anche ai tanti preti incontrati durante una recentissima visita di solidarietà in Venezuela insieme all’assistente ecclesiastico, padre Martino Serrano.