L’udienza di ieri si è conclusa con un’altra “prima volta” di Francesco: la concessione di un’onorificenza ad una suora di 85 anni, suor Maria Concetta Esu, della Congregazione delle Figlie di San Giuseppe di Genoni, missionaria da quasi 60 anni in Africa, come omaggio al suo lungo e prezioso servizio ma anche a tutti i missionari e le missionarie del mondo, che non fanno notizia. Nella catechesi, pronunciata davanti a 16mila persone, il Papa si è soffermato sulla prima invocazione della seconda parte del Padre Nostro: “Dacci il nostro pane quotidiano”.
“Quante madri e quanti padri, ancora oggi, vanno a dormire col tormento di non avere l’indomani pane a sufficienza per i propri figli!”,
esclama il Papa esortando ad immaginare questa preghiera “recitata non nella sicurezza di un comodo appartamento, ma nella precarietà di una stanza in cui ci si adatta, dove manca il necessario per vivere”. Il Padre Nostro ci insegna che la preghiera cristiana “non è un esercizio per asceti; parte dalla realtà, dal cuore e dalla carne di persone che vivono nel bisogno, o che condividono la condizione di chi non ha il necessario per vivere. Nemmeno i più alti mistici cristiani possono prescindere dalla semplicità di questa domanda. ‘Padre, fa’ che per noi e per tutti, oggi ci sia il pane necessario’”. “E ‘pane’ sta anche per acqua, medicine, casa, lavoro… chiedere il necessario per vivere”, precisa Francesco.
“E adesso ci farà bene fermarci un po’ e pensare ai bambini affamati”, la proposta formulata a braccio: “Pensiamo ai bambini che sono in Paesi di guerra: i bambini affamati dello Yemen, i bambini affamati nella Siria, i bambini affamati in tanti Paesi dove non c’è pane. Nel Sud Sudan… Pensiamo a questi bambini, e pensando a loro diciamo insieme a voce alta la preghiera: ‘Padre, dacci oggi il pane quotidiano’”.
“Il pane che il cristiano chiede nella preghiera non è il ‘mio’ pane, è il ‘nostro’ pane”, osserva il Papa: “Così vuole Gesù. Ci insegna a chiederlo non solo per sé stessi, ma per l’intera fraternità del mondo”. “Se non si prega in questo modo, il Padre nostro cessa di essere una orazione cristiana”, il monito di Francesco: “Se Dio è nostro Padre, come possiamo presentarci a lui senza prenderci per mano, tutti noi? E se il pane che lui ci dà ce lo rubiamo tra di noi, come possiamo dirci suoi figli?”. Empatia e solidarietà, gli ingredienti della seconda parte del Padre Nostro: “Nella mia fame sento la fame delle moltitudini, e allora pregherò Dio finché la loro richiesta non sarà esaudita. Così Gesù educa la sua comunità, la sua Chiesa, a portare a Dio le necessità di tutti: ‘Siamo tutti tuoi figli, o Padre, abbi pietà di noi!’”.
“Il pane che chiediamo al Signore nella preghiera è quello stesso che un giorno ci accuserà”. Sono nette le parole usate dal Papa, nella parte finale della catechesi: “Ci rimprovererà la poca abitudine a spezzarlo con chi ci è vicino, a condividerlo. Era un pane regalato per l’umanità, e invece è stato mangiato solo da qualcuno”. “L’amore non può sopportare questo”, il commento ancora una volta fuori testo: “L’amore nostro non può sopportarlo, e l’amore di Dio neppure può sopportare questo egoismo: non condividere il pane”.
“Il cibo non è proprietà privata”,
dice e ripete Francesco a proposito della lezione del Padre Nostro: “Il cibo non è proprietà privata, ma provvidenza da condividere, con la grazia di Dio”. “Il vero miracolo compiuto da Gesù quel giorno non è tanto la moltiplicazione, ma la condivisione”, spiega a proposito del brano evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
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