“Il Papa è convinto che, ormai, la frontiera europea inizia già nel Maghreb, specialmente in Marocco, e che alla globalizzazione del terrore e della precarietà dobbiamo rispondere con la globalizzazione della fraternità. Spero che questo viaggio apostolico, collocato nella tematica della speranza e del dialogo, sia portatore di una maggiore fraternità e umanità tra i nostri cittadini, qualunque sia la loro confessione, e di più amore per coloro che sono tra noi perché cercano una vita migliore”. Rachid Saadi (marocchino e musulmano) è docente di pedagogia interculturale al centro di formazione per docenti di Oujda e di islamologia all’Istituto ecumenico di teologia Al-Mowafaqa. Volentieri accetta di spiegarci il Marocco in vista del viaggio apostolico che Papa Francesco compirà il 30 e 31 marzo di nuovo in un Paese a maggioranza musulmana, invitato dal Re Mohammed VI e dalla piccola ma viva Chiesa locale.
Professore, quale Islam troverà il Papa in Marocco?
Probabilmente un Islam che si rimette in discussione, in pieno dibattito, impegnato in una profonda dinamica di trasformazione perché sempre più si trova a confrontarsi con le sfide delle libertà, dei diritti umani e del pluralismo. I marocchini si interrogano con sempre maggiore insistenza sull’articolazione tra politica e religione, nonché sul modello di gestione sociale che ne deriva. Status giuridico delle donne, libertà individuali e minoranze religiose: nonostante tutte le resistenze, la consapevolezza che i quadri dell’Islam tradizionale sono superati, anche se tale coscienza non è dominante, sta guadagnando spessore. Inoltre, l’Islam marocchino è coinvolto in una dinamica di conservazione e anche di “salafizzazione” che, per fortuna, è sempre meno violenta. Penso che questo sia dovuto ad una sorta di “secolarizzazione” che sta guadagnando terreno quasi impercettibilmente. Pur essendo l’Islam di Stato alla base della costruzione di molte proposte o prospettive di riforma (ad esempio sull’apostasia), risulta difficile tradurre queste ultime in leggi, soprattutto perché l’Islam è anche il fondamento della sua legittimità politica. Ecco perché il margine di manovra in senso riformatorio resta limitato. Lo Stato non vuole essere messo in discussione nella sua funzione di custode dell’Islam ortodosso.
Perché il Marocco ha voluto invitare il Papa?
Penso che la visita vada collocata nella sua dimensione politico-religiosa, quella di un incontro tra due leader religiosi che sono anche capi di entità politiche. Si tratta anche, per il Marocco, di confermare la sua posizione di leader nel campo del dialogo interreligioso, il che è molto utile per la logica dello Stato. Non dimentichiamo che il Marocco è orgoglioso di aver costruito un modello di civiltà millenaria di convivenza interreligiosa. Penso anche che questo invito voglia essere soprattutto un’affermazione che il Marocco ha saputo costruire una strategia di cui è orgoglioso, quella della pacificazione sociale e della lotta e prevenzione dei radicalismi violenti. Questo è stato fatto, certamente, tramite un approccio basato sulla sicurezza, ma anche con un approccio religioso.
Qual è lo stato delle relazioni tra musulmani e cristiani nel Paese e quali sono le aspettative di questa visita?
Se parliamo delle relazioni tra (gli individui) musulmani e cristiani, si trovano piuttosto in uno stato di rispetto che si costruisce nella neutralità o nella sovrapposizione (tolleranza). Non ci sono molti luoghi di vera coesistenza, e siamo nella logica della pluralità e non in quella del pluralismo. Per quanto riguarda il rapporto tra lo Stato e le comunità cristiane, ha conosciuto, in linea di massima, un netto miglioramento, nel senso di un riconoscimento silenzioso, che purtroppo non arriva al punto di concretizzarsi in senso giuridico. I marocchini cristiani si organizzano in entità associative e hanno sempre più accesso a una parola pubblica che appare sempre più ostentata. Essi collocano grandi speranze nella visita del Papa per poter compiere dei progressi su queste questioni. Ci sono sempre delle rivendicazioni che vengono formulate da parte dei cristiani marocchini in termini di cittadinanza, di riconoscimento esplicito e giuridico che va oltre l’indifferenza e verso un accesso a vere e proprie libertà religiose. L’impressione è che la libertà di culto è riconosciuta ai cristiani non marocchini, mentre ai cristiani marocchini la libertà di coscienza e di religione non viene riconosciuta (sono costretti a praticare il loro culto in chiese segrete). È quindi normale che i marocchini cristiani, ma anche altre “minoranze religiose”, abbiano questa consapevolezza di essere oggetto di discriminazione. Ricordo che il Comitato dei cristiani marocchini ha inviato a tale proposito una lettera al Papa.
Sul piano invece del dialogo interreligioso, quali prospettive si possono aprire?
Va detto che il dialogo interreligioso è ancora confinato alle dichiarazioni di buona volontà (rappresentanti di entrambe le religioni), non si riesce a tradurlo in una pratica istituzionalizzata a livello accademico o educativo. La nostra speranza è che questa visita, soprattutto l’incontro con i responsabili dell’Istituto di formazione degli imam, dia il via ad una vera e propria dinamica di dialogo interreligioso. Si vedono già alcuni segnali precursori: è partito con il piede giusto il progetto di inserire un corso sulla conoscenza del cristianesimo “così come è pensato e vissuto dai cristiani” nel percorso di formazione degli imam. Io stesso sto conducendo un progetto per la creazione di strutture di dialogo islamo-cristiano a livello delle università marocchine, in partenariato con Al-Mowafaqa, un Istituto ecumenico di teologia con sede a Rabat.
Il Papa va incontro al Marocco, un Paese molto generoso per la sua accoglienza nei confronti dei migranti. Quale messaggio può lanciare questa visita al Maghreb e all’Europa?
Sulla questione della migrazione, ci aspettiamo che il messaggio del Papa s’iscriva nella continuità di un approccio che attacca quello che il Sommo Pontefice chiama l’”egoismo e il ripiegamento identitario” di un’Europa che è in rottura con i suoi valori umanistici. Si tratta di richiamare i Paesi europei a un maggiore impegno a favore dei migranti ma anche a una maggiore solidarietà con il Marocco, che fa fatica a gestire i flussi migratori e a rimanere nella sua tradizione di “ospitalità”.