Marina Luzzi
È il 4 marzo del 2013, quando Carlotta Nobile, giovanissimo prodigio della musica, riapre gli occhi dopo un brevissimo coma. Tre anni prima le hanno diagnosticato un melanoma al quarto stadio. Così sono iniziate le chemioterapie, i consulti ed i ricoveri in giro per l’Italia. Mentre è in ospedale, in attesa di un esito, ecco la prima crisi dovuta alle metastasi celebrali. Al risveglio, non sarà più la stessa. “Io sono guarita nell’anima. In un istante, in un giorno qualunque, al risveglio da una crisi. Ho riaperto gli occhi ed ero un’altra. E questo è un miracolo”, racconterà nel suo blog, nato per dare coraggio a chi come lei viveva il calvario della malattia.
Vita io ti credo, dopo che ho parlato a lungo, adesso io mi siedo. Non ci son rivincite, né dubbi né incertezze, ora il fondo è limpido, ora ascolto immobile le tue carezze.
Chissà se Carlotta amava Lucio Dalla, dato alla luce, in qualche modo come lei, proprio il 4 marzo di tanti anni prima. Chissà perché le parole di ‘Vita’ il celebre successo cantato con Morandi, girano in testa da giorni, da quando a Taranto i genitori ed il fratello di Carlotta, Vittorio, Adelina e Matteo, sono stati protagonisti di una delle serate di testimonianza della 48esima Settimana della Fede, promossa dalla diocesi di Taranto e quest’anno dedicata ai santi della porta accanto.
Ma siccome la storia di Carlotta è una storia di segni, di coincidenze, questa motivo martellante e questa data, non possono passare inosservate.
Carlotta Nobile (Roma, 20 dicembre 1988 – Benevento, 16 luglio 2013) è stata tra i più apprezzati violinisti italiani del suo tempo. A 17 anni diplomata in violino con 10 e lode e menzione d’onore, nel 2010 e fino alla fine ha diretto l’Orchestra da camera dell’Accademia di Santa Sofia di Benevento. Carlotta era anche una storica dell’arte (laureata a pieni voti) e scrittrice.
“L’abbiamo molto desiderata. È arrivata – racconta Adelina Lepore – dopo otto anni di matrimonio. Amava studiare, era curiosa di tutto, le piaceva relazionarsi con le persone. Sapeva di avere dei grandi talenti e tutto il suo tempo lo ha speso a valorizzarli. Ha bruciato le tappe perché ha fatto tutto presto e bene. Ha vissuto certamente la sua vita di ragazza adolescente, con tutti i suoi passaggi, le sue metamorfosi. È stato incredibile seguirla nel corso dei suoi anni. Un turbinio di cose belle.
Cercava la bellezza nei campi dell’arte, che amava approfondire. E poi alla fine, nell’ultimo periodo, con la sua malattia, la bellezza si è identificata in Dio
e la ricerca è andata diretta verso l’Alto”.
Una voglia di fare che celava un tormento interiore, tante domande di senso, una ritrosia nel parlarne, affidando i pensieri solo ai diari, ritrovati postumi dai genitori
“C’è un lato negativo in tutta questa frenesia che aveva – spiega il fratello, con cui lei ha custodito fino all’ultimo giorno un rapporto speciale, intenso – la continua ricerca di una realizzazione personale. Aveva grandi aspettative su se stessa. Era comprensiva nei confronti degli altri ma verso di sé era esigente al massimo. Diceva sempre ‘ogni giorno al meglio di sé’. Tutto questo però fino ad un certo punto perché con la malattia ha scoperto mano a mano che questo modo di vedere le cose era un’illusione. Ha cominciato a realizzare i propri limiti, prima fisici e poi psicologici e morali e ha capito piano piano che per uscire da questa logica, bisognava fare un passo in più, per realizzare veramente se stessa, bisognava che si annullasse in Dio. Questo è stato quello che l’ha salvata. ‘Uscire da sé’, come ha detto il Papa nell’omelia che le ha cambiato la vita”.
Il Papa, Carlotta, non riuscirà a conoscerlo. Una serie di imprevisti faranno slittare l’incontro fisico ma lei gli scriverà e lui le farà arrivare un messaggio, attraverso il suo padre spirituale: “Questa ragazza mi da’ coraggio”.
“Eravamo a Roma, in un negozio, per acquistare la sua prima parrucca. C’era la tv accesa – ricorda Adelina – guardammo l’elezione e fu colpita dalla semplicità di Papa Francesco, soprattutto dal suo invito a recitare il Padre Nostro tutti insieme. E poi per lei il segno grande: nella sua prima omelia da pontefice, la domenica delle Palme, il Papa disse ai giovani che affidava proprio a loro la croce. Di portarla con gioia, camminare e andare avanti. Sentì sue quelle parole, furono un varco di luce in un cammino nuovo, iniziato così intensamente solo pochi giorni prima, il 4 marzo”.
“Improvvisamente, dopo quel risveglio, Dio comparve negli sms che ci scambiavamo. Quel Dio con cui era stata arrabbiata – spiega Matteo – a cui aveva chiesto perché proprio a me, adesso aveva il volto di un Padre”.
E poi di lì altri eventi che sanno di provvidenziale.
“Il venerdì santo don Giuseppe Trappolini, sacerdote della chiesa di san Giacomo in Augusta a Roma, sacerdote che l’ha accolta nella sua confessione dopo tanto tempo, le ha raccontato che il giorno prima era stato a pranzo con il Papa e lui aveva detto di tenere le chiese aperte anche a quell’ora, perché qualcuno poteva sentire il desiderio di confessarsi. Carlotta arrivò lì dopo aver visitato tante chiese chiuse proprio a quell’ora. Saputo questo antefatto, pianse di gioia. Gli raccontò tutta la storia di questo grande cambiamento che era avvenuto ascoltando le parole del Papa e don Giuseppe le disse: ‘Facciamolo sapere al Papa che le sue parole cambiano la vita, cambiano la sostanza delle persone’. Così il Papa ha chiamato don Giuseppe, esattamente, lo abbiamo ricostruito dopo, mentre lei si risvegliava da un’altra crisi celebrale, da un altro coma. ‘Questa ragazza mi da’ coraggio’, gli ha detto”.
Tanti altri segni, piccoli o grandi, sono accaduti nella vita di Carlotta nei mesi del suo calvario.
Suo padre Vittorio Nobile, li sintetizza in un’invocazione, che da quando ha visto la figlia perdere la vita nella sua cameretta, continua a fare ogni sera. Come ad imitarla o ad esserle più vicino. “Signore ti ringrazio – dico- come diceva lei in quell’ultima notte guardando la parete. Signore ti ringrazio. Sempre”.
Nel febbraio 2018, Carlotta Nobile è stata inserita tra i “Giovani Testimoni” del Sinodo dei Vescovi 2018 sul tema, indetto da Papa Francesco.
“Ponendo come tema la santità della porta accanto abbiamo voluto indicare un cammino possibile per tutti. In particolare per i ragazzi – ha commentato l’arcivescovo della diocesi ionica Filippo Santoro – perché raccontiamo per lo più storie di giovani. La realizzazione piena della vita avviene, come nel caso di Carlotta, quando si abbandona se stessi e si segue un Altro. Io dico che Taranto ha bisogno dei santi. Con tutti i problemi che ci sono, noi possiamo arrivare fino ad un certo punto. C’è l’esigenza di un passo più grande ed è bello perché queste testimonianze ci fanno vivere la grandezza della gioia condivisa. Questo serve, in modo particolare alla nostra città: non essere chiusi in noi stessi ma vivere una dimensione di socialità con il creato, con l’ambiente, con gli altri”.
Ma la sofferenza tocca il limite, così cancella tutto e rinasce un fiore sopra un fatto brutto.