SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Si sarebbe potuta, o dovuta, chiamare “Madonna della Pietà”. Ecco uno degli aneddoti snocciolati durante la serata amarcord che, lunedì scorso, ha chiuso i festeggiamenti per i 40 anni dalla Dedicazione della chiesa Madonna del Suffragio. Stimolati dalle domande dei fedeli e da quelle dell’attuale parroco, don Gianni Capriotti, hanno tenuto banco il primo parroco della chiesa, don Luciano Paci, ed il costruttore Gino Gasparretti. Quest’ultimo, ha iniziato il suo discorso rivolgendo un ricordo ed un applauso a tutte le maestranze ed ai tecnici che hanno lavorato in quel cantiere e che oggi non ci sono più.
Il nome venne deciso dal vescovo di allora, monsignor Vincenzo Radicioni, ma don Luciano svela un piccolo retroscena. Il vescovo, che viveva a Ripatransone, non sapeva che lì vicino c’era una via intitolata alla Madonna della Pietà. Lo scoprì solo in un secondo momento: «Mi disse che se lo avesse saputo prima avrebbe scelto quel nome per la nuova chiesa che, a suo dire, era anche più bello». Ma cosa c’era in quel frammento del quartiere Ponterotto prima della costruzione della chiesa? In due parole: una fogna a cielo aperto. «Realizzare le fondamenta fu molto difficile, perché prima bisognava risolvere il problema degli scarichi. Diciamo che l’arrivo della chiesa ha migliorato le condizioni complessive di quella zona, anche da un punto di vista igienico» ha detto il parroco emerito, sottolineando come (a metà degli anni Settanta) quella fosse una vera e propria zona di frontiera, con pubblica illuminazione quasi del tutto assente, strade sterrate e un bacino del torrente Albula non ancora del tutto irreggimentato.
Nel corso della serata sono state proiettate foto storiche dei lavori e della cerimonia di Dedicazione, durante la quale ci fu anche la Cresima di una delle figlie di Gasparretti. «Per me è stata un’emozione particolare. In città ho realizzato tre chiese e devo dire che il vescovo Radicioni mi sceglieva frequentemente per i lavori, perché mi adeguavo meglio di altri alle sue esigenze di budget, che erano sempre all’insegna dei tagli. Per questa chiesa, vennero fatte delle scelte innovative per l’epoca, come quella del cemento a vista. Come tutte le opere umane, può piacere o non piacere, ma a mio avviso è stato fatto un ottimo lavoro per bilanciare costi ed estetica. Dal punto di vista tecnico ancora oggi, dopo 40 anni, si mantiene molto bene e necessita solo di manutenzioni ornamentali, non strutturali». Da qualche parte, sotterrata in prossimità dell’altare, c’è ancora la prima pietra che venne posata in una cerimonia datata 19 marzo del 1976, mentre una copia di quel simbolico elemento è conservata in Curia. Don Paci ha anche detto di esser stato in disaccordo con alcune scelte architettoniche, come quella del tabernacolo e delle sue lunghe colonne che troneggiano dietro l’altare: «Sinceramente io non lo avrei voluto così esagerato. Gesù non ha bisogno di tanti trionfi, per onorarlo è sufficiente seguire la sua Parola, amando ognuno di noi la nostra vita e quella di tutti i nostri fratelli».
Ad ogni buon conto, il prete ha ricordato i suoi primi giorni da parroco: «Le persone erano incredule. Non erano abituate ad avere un parroco vicino. Spesso era come se pensavano: “Quesso che sta a fare quassù?”. Io mi sono accostato a voi con delicatezza, senza imposizioni. Ho cercato di portarvi una testimonianza di Fede, magari imperfetta perché ha anch’io i miei difetti. Ma abbiamo fatto un cammino importante, fatto di catechesi, incontri con le famiglie, campi estivi e preparazione ai sacramenti dei più giovani con il coinvolgimento dei genitori».
Per don Luciano l’inizio non è stato tutto “rosa e fiori”. Infatti racconta di aver subìto un furto nella sua canonica. Venne trafugata anche una macchina da scrivere, successivamente addirittura utilizzata da un nucleo delle Brigate Rosse, legato a Patrizio Peci, per la stesura di alcune lettere minatorie. «Questo emerse da indagini accurate dei carabinieri che, in un primo tempo, sospettavano anche di un mio coinvolgimento delle Br» svela oggi l’anziano prete, dando il senso di un periodo (gli Anni di Piombo) in cui davvero lo Stato era sotto attacco e dove il “nemico” poteva nascondersi davvero ovunque. La bella serata, alla quale hanno preso parte anche il consigliere comunale Gabriele Pompini ed il presidente del Comitato di quartiere Ponterotto, Roberto Angelini, si è conclusa con un piccolo rinfresco.