Un profondo legame unisce l’Italia alla comunità ecumenica di Taizé. Per questo, il priore frère Alois – in questi giorni a Roma – ha incontrato alla Cei prima il cardinale Gualtiero Bassetti e poi don Michele Falabretti, della pastorale giovanile, che lo ha invitato a parlare al Convegno nazionale che si terrà a Terrasini (PA) dal 29 aprile al 2 maggio dal titolo “Dare casa al futuro. Le parole coraggiose del Sinodo dei giovani”. D’altronde è un dato di fatto la partecipazione sempre molto numerosa dei giovani italiani agli eventi organizzati da Taizé e la scelta dei nostri ragazzi di trascorrere sulle colline francesi dove ha sede la comunità, le festività di Pasqua e alcuni periodi durante l’estate per fare una esperienza di preghiera ma anche di comunione e fraternità con giovani di diverse Chiese e Paesi del mondo. Il Sir ha incontrato frère Alois a Roma dove è stato ricevuto in udienza da Papa Francesco. Partiamo da qui.
Come è andato l’incontro con il Santo Padre? Di cosa avete parlato?
Ciò che mi colpisce ogni volta che incontro Papa Francesco è di sentire la sua profonda disponibilità. L’udienza è durata quasi mezz’ora, abbiamo avuto uno scambio profondo su diverse questioni. Ad esempio, riguardo all’unità dei cristiani, ha insistito sull’importanza di camminare insieme con i cristiani delle varie Chiese: “Lo fate a Taizé, continuate!”. Sono molto felice che il Papa ci incoraggi ad andare avanti. Sull’ascolto e l’accompagnamento dei giovani, l’unità o il dialogo interreligioso, l’apertura al mondo, noi ci sentiamo in profonda comunione. Gli ho detto che stiamo pregando per lui a Taizé e che spesso incoraggio i giovani a fare lo stesso. Questo lo ha reso felice.
È vero che il suo compito è molto difficile, d’altronde lui stesso non lo nasconde, ma mi sembra che continui ad andare avanti con coraggio, passo dopo passo.
Lei ha incontrato a Roma il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti. Come guarda Taizé la Chiesa italiana?
Ho avuto un incontro molto bello con il cardinale Bassetti durante il Sinodo sui giovani, nel mese di ottobre, e desideravo poterlo visitare alla Conferenza episcopale per esprimerglila nostra gratitudine per i legami di amicizia che uniscono Taizé alla Chiesa italiana da tanti anni.Quello che mi ha sicuramente colpito, è che il cardinale ha incontrato tre volte frère Roger, il fondatore della nostra comunità, a partire dalla sua prima visita a Taizé nel 1966. Molti giovani italiani vengono a Taizé, specialmente a Pasqua e in estate. Attualmente, due fratelli stanno facendo delle visite in Italia, in diverse città, tra cui Varese, Milano, Cremona, Modena, Rovigo … questi incontri e preghiere comuni ci permettono di comprendere meglio la realtà che si vive nelle comunità cristiane locali, e anche di preparare i giovani che verranno nei prossimi mesi a Taizé.
A Roma lei ha incontrato anche don Michele Falabretti, responsabile della pastorale giovanile della Cei, che l’ha invitato a Palermo. Il nostro Paese sta vivendo un momento molto difficile in cui la diversità e l’altro sono vissuti con paura, persino con odio. Come possono i giovani reagire a queste derive?
È stato sempre in occasione del Sinodo sui giovani che ho incontrato don Michele Falabretti. E’ nata tra noi una bella amicizia e sono rimasto molto toccato di ricevere da lui, poco prima della Gmg di Panama, questo invito ad andare a Palermo. All’inizio di maggio ci sarà un incontro di circa 800 operatori pastorali che accompagnano i giovani in tutta Italia e mi hanno chiesto di presentare l’Esortazione post-sinodale “Christus vivit”. In Italia, come in molti altri paesi, i giovani sono sottoposti a forti pressioni e capisco molto bene che c’è una certa paura per il futuro in quanto a volte sembra incerto.
A Taizé, noi cerchiamo di ascoltare e accompagnare i giovani aiutandoli a non perdere mai la fiducia.
Abbiamo scelto per l’anno 2019, di sviluppare il tema: “Non dimentichiamo l’ospitalità! “. È importante ricordare prima di tutto l’ospitalità che Dio ci dona, per trovare il coraggio di mettere in pratica nella nostra vita questo atteggiamento di accoglienza dell’altro.
È solo attraverso gli incontri personali che i pregiudizi e le paure possono cadere.
Avete da poco animato a Beirut, dal 22 al 26 marzo, un incontro internazionale ecumenico dei giovani al quale hanno partecipato oltre 1.600 ragazzi e ragazze, provenienti dai paesi dell’area mediorientale. Cosa l’ha colpita di più e qual è il messaggio che i giovani in Libano stanno inviando oggi ai giovani europei?
San Giovanni Paolo II ha avuto una riflessione molto acuta sul Libano. Ha detto che non è solo un paese, ma anche un “messaggio”. Alla fine di questo incontro ecumenico internazionale a Beirut, posso dire che questa osservazione è davvero pertinente.Nonostante le ferite della storia, nonostante la guerra che ha lacerato il paese fino al 1990, i libanesi sono riusciti a vivere insieme e praticare una vera convivenza tra le varie religioni.Abbiamo preparato l’incontro insieme al Consiglio delle Chiese del Medio Oriente e dalle Chiese in Libano, compresi i diversi Patriarcati. Nel Comitato di preparazione, erano rappresentate tutte le famiglie ecclesiali e le preghiere comuni riflettevano questa grande diversità. Sono stato particolarmente colpito dalla presenza di giovani del mondo arabo: dalla Siria – da Damasco, Aleppo, Homs – ma anche dalla Palestina, dall’Iraq, dalla Giordania e dall’Egitto. In Libano, il 25 marzo è festa nazionale, per la ricorrenza dell’Annunciazione di Maria, celebrata da cristiani e musulmani. Quel giorno, abbiamo organizzato una celebrazione comune, con interventi, testimonianze di giovani, canzoni di tradizioni diverse. È stato un segno di speranza molto forte per tutti noi, anche per i 400 giovani dei vari paesi europei che hanno preso parte a questo primo incontro di Taizé nel mondo arabo.