Giovani donne siriane costrette a prostituirsi in locali sotterranei, picchiate e abusate dalle mafie locali. Una ragazza del Bangladesh arrivata a 12 anni in Libano con documenti falsi che la dichiaravano maggiorenne, sfruttata per cinque anni come lavoratrice domestica, senza mai essere pagata, vittima di abusi e violenze. Bambini costretti a mendicare per strada e a consegnare le elemosine ai trafficanti, poi picchiati a fine giornata non riescono a raggiungere la somma voluta. Pescatori asiatici che lavorano come schiavi sui pescherecci. Sono questi i volti della tratta di persone, un fenomeno che appare lontano e sfumato. Invece è più vicino e reale di quanto non immaginiamo. Per cercare i modi di contrastarla e fare rete tra tutte le realtà ecclesiali che lavorano su questi temi si è svolta in questi giorni a Sacrofano la Conferenza internazionale sulla tratta di persone, organizzata dalla Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. Tra loro le religiose di Talitha Kum; il gruppo Santa Marta; la Pontificia accademia delle scienze; la Caritas con le sue reti; la Commissione internazionale per le migrazioni (Icmc) e l’Apostolato del mare. Ieri i partecipanti sono stati ricevuti in udienza da Papa Francesco: la tratta è “una piaga profonda nell’umanità di chi la subisce e di chi la attua”, ha affermato, che “deturpa l’umanità della vittima, offendendo la sua libertà e dignità”, “disumanizza chi la compie” e “danneggia gravemente l’umanità nel suo insieme”.
La conferenza si è svolta con modalità inconsuete: invece di ascoltare lunghe relazioni sono stati formati 18 gruppi di lavoro su aspetti diversi: la tratta a scopo di sfruttamento sessuale, il lavoro schiavo, il traffico di organi, il matrimonio coatto, la mendicità, la servitù nel lavoro, nuove forme di schiavitù che utilizzano la tecnologia.
35 proposte + 7 a fine convegno.“Abbiamo creato uno spazio di dialogo, condivisione e programmazione tra reti che stanno già lavorando su questi temi – spiega al Sir padre Fabio Baggio, sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale -. Dovevamo semplicemente rispondere ad una domanda: come affrontare insieme le sfide di questa particolare forma di tratta?”. A fine convegno sono arrivati dai gruppi oltre 500 suggerimenti, padre Baggio ne ha scelti 35 per il rapporto finale, più altri 7 che riguardano la comunicazione. “Un filo comune tra tutte le proposte è la grande ignoranza di fronte al fenomeno – precisa -. Dobbiamo informare, far crescere la coscienza della gente, perché la tratta, ad esempio il lavoro schiavo, entra a casa nostra attraverso i prodotti molto economici che compriamo. E non sappiamo che dietro la scatoletta di tonno, ad esempio, c’è un pescatore sfruttato come schiavo in Asia”. La comunicazione è dunque un aspetto importante, perciò si cercheranno sinergie con i media mainstream, preparando materiali su storie reali e producendo campagne di sensibilizzazione.
Tra le altre proposte, formare agenti contro la tratta coinvolgendo le forze dell’ordine e i magistrati, promuovendo corsi di formazione nelle Chiese locali.
Produrre inoltre materiali educativi e video da diffondere nei gruppi giovanili, nelle catechesi, nelle scuole cattoliche, nelle parrocchie. Altro aspetto importante sono i dati: “Abbiamo molti data base a livello locale, con dati, evidenze, prove – dice padre Baggio -. La proposta è di cominciare a mettere insieme tutto il materiale raccolto per sapere di quante donne, uomini e bambini stiamo parlando. Faremo riferimento alle persone che si rivolgono a noi: saranno numeri non scientificamente perfetti ma reali e certi. Perché queste persone hanno avuto il coraggio, se non di denunciare, almeno di chiedere un servizio alle nostre realtà”.
Le storie raccolte sul campo sono tantissime, purtroppo. In Libano, ad esempio, la Caritas ha attivato 6 shelter, ossia case rifugio protette dove ospitare e seguite le vittime di tratta: minori, donne sole o con bambini, famiglie, lavoratori che fuggono da condizioni di schiavitù. Lo shelter più grande può accogliere fino a 110 persone, il più piccolo 35. A breve ne apriranno uno per i bambini di strada costretti ad elemosinare. Forniscono anche servizi legali, psicologici, aiuti umanitari, vestiario, corsi di informatica. “Da anni ci occupiamo di tratta di esseri umani e abbiamo incontrato esperienze drammatiche – afferma padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano -. Non facciamo discriminazione di colore o religione ma cerchiamo di lottare contro questa grande ferita nella società che considera la persona umana come una merce”. In un Paese come il Libano, in cui circa la metà della popolazione è costituita da migranti e rifugiati, anche le vittime di tratta sono di diverse nazionalità: africani, asiatici, moltissimi siriani e iracheni. “Ultimamente le forze di sicurezza libanesi hanno scoperto una mafia che gestisce donne siriane obbligandole a prostituirsi – dice padre Karam -. I trafficanti sono stati arrestati. Le donne sono state mandate da noi. Da più di un anno e mezzo erano costrette a prostituirsi in locali sotterranei e venivano picchiate”.
Le 34 donne siriane avevano subito ogni forma di abusi e violenza, sono state picchiate, sottomesse moralmente e psicologicamente.
“Alcune sono rimaste incinte e obbligate ad abortire. Abbiamo dato assistenza umanitaria, medica, psicologica. Alcune di loro sono state trasferite in ospedale psichiatrico perché erano traumatizzate”. Lo racconta Hessen Sayah, coordinatrice del Dipartimento migranti e vittime di tratta di Caritas Libano, che conosce personalmente tutte le storie. Ogni giorno ascolta almeno 20 casi di questo tipo. Chiedono aiuto, consulenza, alloggio.
“Dopo la crisi siriana il numero di vittime della violenza di genere e il traffico di esseri umani è aumentato”.
A loro si è rivolta anche una ragazza del Bangladesh con una storia terribile alle spalle. “Quando è venuta a chiedere aiuto abbiamo scoperto che era minorenne – prosegue -. I suoi genitori e una agenzia di reclutamento hanno falsificato il suo passaporto scrivendo che aveva 28 anni. Invece quando è partita ne aveva 12. Ha lavorato come domestica in una casa privata per 5 anni, senza mai essere pagata. Ha subito sfruttamento, abusi e lavoro forzato. Le abbiamo dato aiuti umanitari, sanitari, legali, sostegno psicologico, counseling sociale e alloggio”. Caritas Libano va sul campo, parla con le persone e identifica le vittime: “Per prima cosa le tranquillizziamo, le incoraggiamo a parlare e a ricostruire la propria autostima. Così ritrovano la dignità e possono ricominciare una nuova vita”.