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Papa Francesco: “Nei momenti di oscurità e grande tribolazione bisogna tacere, avere il coraggio di tacere”

Fabio Zavattaro

Parole, segni, sguardi. Nella domenica delle Palme la liturgia, e l’omelia di Papa Francesco ci chiedono di avere queste attenzioni, di rispondere nell’umiltà alle tentazioni del tempo. Gesù che entra in Gerusalemme, ma vi arriva non in modo privato, come ha fatto altre volte, ma in modo ufficiale, manifestando la propria identità regale: è acclamato come re, come colui che viene nel nome del Signore. Entra in Gerusalemme acclamato dalla folla, dai giovani, che lo salutano agitando rami di palma. Entra su un puledro sul quale non è salito ancora nessun altro, dopo aver dato indicazione ai discepoli su come e dove trovarlo. È acclamato ma successivamente è umiliato; “le grida festose e l’accanimento feroce. Questo duplice mistero – dice Papa Francesco nella liturgia che si è svolta in piazza san Pietro davanti a 40mila persone – accompagna ogni anno l’ingresso nella Settimana Santa, nei due momenti caratteristici di questa celebrazione: la processione con i rami di palma e di ulivo all’inizio e poi la solenne lettura del racconto della Passione”.
Parole e segni. La sua conoscenza di tutto ciò che deve avvenire dimostra che è il Signore. Sa che quella folla lo accoglie oggi, ma è pronta a condannarlo passati alcuni giorni. Il puledro poi: tutto appartiene al Signore e solo lui può sciogliere dai legami che imprigionano e restituire l’essere alla sua vera identità.
Ancora gli sguardi. Differenti tra loro, come quelli del popolo che sta a vedere; dei capi e dei soldati che lo scherniscono: le folle accorrono per vedere uno spettacolo, ma se ne vanno battendosi il petto. Quella morte in croce ha segnato il loro sguardo: “Gesù ci mostra come affrontare i momenti difficili e le tentazioni più insidiose, custodendo nel cuore una pace che non è distacco, non è impassibilità o superomismo, ma è abbandono fiducioso al Padre e alla sua volontà di salvezza, di vita, di misericordia”.
Poi ci sono gli sguardi dei suoi amici, i discepoli, delle donne che lo hanno seguito da lontano, dalla Galilea, e sono attente al luogo dove viene sepolto Gesù. C’è lo sguardo del centurione, che riconosce l’uomo sulla croce non come malfattore, ma come uomo giusto. C’è lo sguardo del buon ladrone che chiede perdono per le sue colpe, e rimprovera il suo compagno di malefatte. E c’è infine lo sguardo che Gesù rivolge a Pietro, il quale, udito il canto del gallo, “uscito fuori pianse amaramente”, come leggiamo in Luca.
Il Signore sale da Gerico, che si trova sotto il livello del mare; sale verso la città che si trova a 700 metri di altezza. È un’ascesa, ricordava Benedetto XVI, via esteriore, ma anche immagine del movimento interiore dell’esistenza: “L’uomo può scegliere una via comoda e scansare ogni fatica. Può anche scendere verso il basso, il volgare. Può sprofondare nella palude della menzogna e della disonestà. Gesù cammina avanti a noi, e va verso l’alto”.
Nell’ingresso a Gerusalemme il Signore ci mostra la strada, che non è quella del trionfalismo; risponde al maligno “rimanendo fedele alla via dell’umiltà. Il trionfalismo cerca di avvicinare la meta per mezzo di scorciatoie, di falsi compromessi; punta a salire sul carro del vincitore; vive di gesti e di parole che però non sono passati attraverso il crogiolo della Croce; si alimenta del confronto con gli altri giudicandoli sempre peggiori, difettosi, falliti. E una forma sottile di trionfalismo è la mondanità spirituale, che è il maggior pericolo, la tentazione più perfida che minaccia la Chiesa”, avverte il Papa.
“Nei momenti di oscurità e grande tribolazione bisogna tacere, avere il coraggio di tacere, purché sia un tacere mite e non rancoroso”. Francesco ricorda che la mitezza del silenzio “ci farà apparire ancora più umiliati”, ma occorre “resistere in silenzio” perché “il demonio, prendendo coraggio, uscirà allo scoperto. Bisognerà resistergli in silenzio, mantenendo la posizione, ma con lo stesso atteggiamento di Gesù. Lui sa che la guerra è tra Dio e il principe di questo mondo, e che non si tratta di mettere mano alla spada, ma di rimanere calmi, saldi nella fede”.

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