“Una conversazione sul nostro Paese, e non solo. Abbiamo preso posizione su una serie di sintomi, espliciti indicatori di un cancro della nostra democrazia: il populismo”. Così Chiara Tintori parla del volume “Perché il populismo fa male al popolo”, firmato assieme a padre Bartolomeo Sorge (Edizioni Terra Santa), che vedrà la luce giovedì 18 aprile. Tintori – che ha svolto attività di ricerca e docenza presso varie università italiane ed è stata collaboratrice di “Aggiornamenti Sociali” dal 1996 al 2018 – indica un passaggio-chiave del libro: “L’equivoco di fondo del populismo sta nel ritenere che la maggioranza parlamentare si identifichi con il popolo tutto intero, legittimando il comportamento trasgressivo dei leader eletti, che ambiscono a conquistare spazi di potere sempre maggiori”.
Pungolato dalle domande di Chiara Tintori, padre Sorge – gesuita, ha diretto “La Civiltà Cattolica”, l’Istituto di formazione politica “Pedro Arrupe”, “Aggiornamenti Sociali” e “Popoli” – denuncia la superficialità con cui l’attuale politica, ossessionata dal consenso, affronta problemi complessi, fra cui immigrazione, povertà, disoccupazione, evitando di indagare, con la necessaria competenza, le radici profonde dei mali che affliggono la società italiana. L’antidoto al populismo è, per i due autori, un “popolarismo” moderno, ispirato all’Appello “ai liberi e forti” di don Sturzo (1919).
Dottoressa Tintori, cos’è, in breve, il populismo?
Si tratta di un fenomeno, indubbiamente complesso, che tende a contrapporre “il popolo” – definizione unitaria già di per sé ambigua e dai confini incerti – alle “élite”, e ad avere con il primo un rapporto diretto (di “pancia” e di “piazza”) anziché attraverso le istituzioni.
Ma perché il populismo, come voi affermate, farebbe male al popolo?
Perché è privo del senso dello Stato e uccide il bene comune, perché è nemico della cultura dell’incontro, perché sacrifica l’apparire all’essere, perché specula sulle paure e sui problemi delle persone, perché agli occhi del populismo l’altro diviene un nemico. E molti altri “perché”…
Come nasce e si alimenta il populismo?
La deriva populista si è presentata nella storia sempre durante, oppure dopo periodi di forte incertezza o vere e proprie crisi. Oggi riconosciamo la presenza contemporanea di almeno tre crisi: economica, culturale e politica. La prima ha fatto la sua comparsa nel 2008, provocando una contrazione produttiva e delle opportunità di lavoro, portando con sé un aumento costante delle disuguaglianze; la crisi politica si manifesta nella progressiva perdita di capacità di rappresentanza da parte dei partiti tradizionali degli interessi dei cittadini; infine la crisi culturale comprende, tra gli altri, il disorientamento provocato dalle migrazioni, la diffidenza verso il “diverso” e il bisogno di sicurezza. Dinanzi a questi mutamenti repentini, le forze politiche al Governo – la nuova élite che finge di essere ancora “popolo” – producono risposte scomposte e a tratti inquietanti, alimentando un clima sociale aggressivo e divisorio, con il solo scopo di conquistare spazi maggiori di potere, in una perenne campagna elettorale. In questo volume, oltre a spiegare “perché il populismo fa male al popolo”, torniamo a una pacata e chiara comprensione delle dinamiche fondative della politica. Ci interessa uscire dalla retorica populista per riproporre l’attualità di un pensiero “altro” e “alto” di politica, per ridare ossigeno alla cultura democratica. Ecco perché proponiamo il popolarismo come antidoto al populismo.
Cosa potrebbe dirci, oggi, il popolarismo sturziano?
Sono passati cento anni dall’Appello “ai liberi e forti” di don Luigi Sturzo; in queste pagine ripercorriamo i punti cardinali di tale intuizione politica che sono, di fatto, gli antidoti al populismo: l’ispirazione religiosa, la laicità, il primato del bene comune, il riformismo. La nostra conversazione su una politica “altra” è radicata nel magistero sociale della Chiesa, in particolare in quello di Papa Francesco, che suggerisce la strada e offre la bussola per una “buona politica”: eticamente e idealmente ispirata; laica, cioè orientata alla “cultura dell’incontro”; volta al bene comune ed esercitata in spirito di servizio. Ecco svelarsi che tra il pensiero di Sturzo e quello di Bergoglio vi è una convergenza feconda, che approfondiamo con uno sguardo alla storia presente e passata del nostro Paese. Con grande lucidità, padre Sorge spiega anche quale siano oggi gli spazi e lo stile dell’impegno politico per i cattolici, lontano da nostalgie miopi di unità partitica.
Ma il populismo si può considerare “solo” una questione politica oppure mostra un’origine culturale, formativa, forse addirittura antropologica?
Non possiamo dimenticarci che i politici populisti sono espressione e provengono dalla società civile; per cambiare mentalità occorre dunque intervenire sull’ethos popolare. Il problema più urgente per ridare anima alla politica è aiutare la democrazia a ritrovare la sua fondazione etica, riscoprire la grammatica etica comune scritta nella coscienza di ogni essere umano: dignità della persona, solidarietà, bene comune, sussidiarietà. Il pluralismo e le differenze sono una ricchezza e non un ostacolo alla costruzione di un ethos popolare maturo. Concretamente ciò significa puntare sulla formazione culturale e professionale, intraprendere esperienze concrete di dialogo e di mediazione. Con estrema lucidità padre Sorge afferma che “piaccia o non piaccia, i muri appartengono al XX secolo. Il XXI secolo sarà quello dei ponti, destinati a poggiare su un nuovo umanesimo. E il nuovo umanesimo del XXI secolo non potrà che essere quello dell’ecologia integrale”. L’ecologia integrale apre gli orizzonti a un umanesimo non individualistico né autoreferenziale.
Populismo ed elezione europee: incrocio pericoloso?
Le elezioni europee saranno una buona occasione per arginare i rigurgiti nazionalisti, che nulla hanno a che spartire con l’orizzonte del bene comune e con lo stile di costruzione della storia dove le differenze tendono alla comunione. Le elezioni europee vanno affrontate con coraggio e fiducia, richiamando ogni cittadino alla responsabilità di partecipare al voto, “per” un’Europa più unita e non “contro” tutti i difetti che l’Unione ha manifestato in questi anni. Apriamo gli occhi e smettiamola di credere che tutti i nostri mali vengono dall’Ue; certo, ci sono state politiche (austerità), modelli decisionali (eccessiva burocratizzazione) che hanno influito negativamente su alcune vicende politiche, ma la sensibilità democratica che ciascuno di noi, in quanto cittadino europeo, può esprimere è il migliore antidoto contro il populismo anche di casa nostra.
0 commenti