La proposta di corridoi umanitari europei per mettere in salvo 50.000 persone vulnerabili dalla Libia “è oggi seria, legittima e urgente a causa degli inasprirsi degli scontri. Attendiamo l’occasione giusta per formalizzarla”. Lo conferma Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, il programma di corridoi umanitari promosso dalla Fcei, la Federazione delle Chiese evangeliche italiane. La proposta era stata lanciata in via informale lo scorso mese di settembre durante la conferenza internazionale della Comunità di Sant’Egidio a Bologna e un mese fa all’aeroporto di Fiumicino durante l’arrivo di un corridoio umanitario dal Libano. Ora “intendiamo formalizzare una richiesta precisa di attivazione di corridoi umanitari in Libia con le modalità analoghe sperimentate in Libano”, precisa: “Stiamo vedendo come va il dibattito. Prendiamo atto che oggi il ministro Trenta ha nuovamente espresso la sua posizione su questo tema utilizzando l’espressione corridoi umanitari. Vediamo cosa accade nelle prossime ore”. La novità è che “sarebbe un corridoio europeo, di due anni, coinvolgendo i Paesi volenterosi. Un numero che non è solo una buona pratica ma una azione molto concreta, tra l’altro di contrasto all’immigrazione irregolare”. Il meccanismo sarebbe quello del corridoio umanitario attivato in Libano “anche se in Libia ci saranno problemi di accesso ad alcune aree per ragioni di sicurezza”. Il criterio di scelta è, come sempre, la vulnerabilità dei soggetti, “i primi a dover essere evacuati”: nei centri di detenzione ci sono tante donne con bambini, minori soli, vittime di tratta, persone che hanno subito torture o con gravi patologie. “La Libia è un campo nuovo per noi – spiega – ma siamo forti di un partenariato con Terre des hommes e altre realtà. Abbiamo attivato degli esperimenti, ad esempio un programma di terapia per bambini con patologie gravi per farli curare all’estero”. E anche se il protocollo è europeo – “non è pensabile che solo l’Italia si faccia carico di 50.000 persone – “noi chiederemmo all’Italia di fare la sua parte” garantendo almeno l’accoglienza. “È evidente che a fronte di quei numeri non c’è otto per mille che tenga. Lo Stato dovrebbe essere debitamente coinvolto tramite il sistema di accoglienza. Poi si vedrà quale formula adottare”, conclude.