Riportiamo per intero le parole dell’omelia: “È la sera della cena dell’addio. Gesù celebra la cena pasquale tradizionale per gli ebrei, come era chiamato a fare ogni pio ebreo, ma sa che è l’ultima sua cena su questa terra con i suoi apostoli. È una cena che ha, quindi, toni di intimità particolare. Essa segna un passaggio nuovo: se l’antica cena ricordava il passaggio del popolo ebreo attraverso il Mar Rosso e quindi la sua liberazione della schiavitù dell’Egitto dopo 400 anni – mirabile opera di Dio – l’ultima cena di Gesù si costituisce come memoriale di un altro passaggio fondamentale della storia di Dio che vuole liberare l’essere umano, ogni essere umano, da ogni schiavitù, soprattutto da quella peggiore: la schiavitù del peccato da cui scaturisce ogni altra schiavitù che umilia la dignità umana.
Nella cena pasquale ebraica si consumava l’agnello; nell’ultima cena di Gesù si consuma un nuovo agnello: Gesù stesso. In questa ultima cena, infatti, egli dona in cibo il suo corpo e il suo sangue: “questo è il mio corpo; questo è il mio sangue… prendete e mangiate… prendete bevete”. Parole che il sacerdote ripete in ogni santa messa, perché ogni santa messa rimanda a quella ultima cena del giovedì di Gesù con i suoi discepoli. Quel “prendete e mangiate… prendete bevete” che Gesù ha detto a loro, lo ripete a noi in ogni santa messa.
Proviamo ad entrare in questo mistero di cui noi per grazia siamo fatti partecipi. Gesù sa bene cosa sta per accadere: il tradimento di Giuda, la consegna ai soldati, la sua condanna a morte attraverso l’ignominioso supplizio della croce. Il suo corpo sarà straziato e il suo sangue versato. Ha davanti a sé la peggior prospettiva che dal punto di vista umano possa immaginarsi: tradito da un amico intimo (venduto!) e condannato a morte attraverso il supplizio della croce.
E cosa fa? Offre tutto questo per i suoi apostoli e per tutti noi (dice infatti “versato per tutti”). Trasforma la sua ingiusta condanna in un gesto di amore e di offerta, senza ribellione e senza condanna nei confronti di nessuno. Accetta ciò che ormai è inevitabile, e lo accetta per amore dei suoi. Facendo questo mostra una estrema libertà nei confronti del male che sta subendo: resiste al male con il bene. Egli non si lascia conquistare da sentimenti di rabbia o di vendetta, ma fa della condanna a morte che sta per subire un gesto di amore nei confronti dei suoi apostoli e di noi. Gesto davvero sublime con il quale si eleva sopra ogni male umano e lo vince prima di tutto in se stesso. Gesù mostra qui non solo la sua grandezza divina, ma soprattutto la sua grandezza umana, la sua umanità portata alla perfezione dell’amore.
In quel gesto Gesù sembra dire: “fino a qui ho dato tutta la mia vita per voi, per mostrarvi la strada di quell’amore vero che, solo, salva voi e l’umanità intera: ve l’ho mostrato accogliendo tutti, anche coloro che erano rifiutati da tutti; ve l’ho mostrato accogliendo i peccatori e insegnando loro la via della redenzione -lasciare l’egoismo e riscoprire l’amore-; ve l’ho mostrato consolando ogni dolore e curando ogni malato; ora ve lo mostro con il gesto supremo: mi mettono a morte per il bene che ho fatto, accetto anche questo per amore vostro e faccio della mia morte un gesto di amore per voi e per quelli che mi uccidono. Vi dono anche questo ultimo tratto della mia vita. È solo così che il male e il peccato del mondo possono essere vinti e anche voi potete vincerli con me, se fate come faccio io. Vi ho dato l’esempio e ve lo sto dando in modo definitivo e sommo anche in questo momento”.
Quando come Gesù tramutiamo il male che subiamo o che dobbiamo subire in un gesto di amore, noi ci riscattiamo dal male e siamo simili a Dio. È questo il modo in cui Dio vince il male del mondo. Il peccato è sempre un male che si traveste di bene illudendo, così come si sono illusi Adamo ed Eva, pagandone poi un caro prezzo (è sempre così con il peccato: il prezzo da pagare viene dopo ed è sempre doloroso).
Quando partecipiamo alla santa messa, Gesù ci ripete le stesse parole: “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi”. Solo se facciamo nostra, accogliendola, questa esortazione, la santa messa dà in noi i frutti desiderati; solo se offriamo anche noi, con Gesù, la nostra vita in un atto di amore che risponde al male con il bene. La santa messa diventa così atto di Gesù e atto nostro con lui e usciamo dalla santa messa rinfrancati perché ci sentiamo, con le nostre fatiche, in comunione con Gesù.
Con Gesù possiamo allora dire che la nostra vita giunge alla sua pienezza umana e cristiana quando abbiamo imparato con Gesù a farne un atto di amore. Non siamo ancora giunti a tale pienezza, ecco perché ritorniamo sempre di nuovo a Gesù, non solo per imparare da lui, ma per chiedere a lui quel cibo che alimenta in noi la capacità di donarci ogni giorno senza lasciarci vincere dal male e dalle sue molteplici seduzioni.
Gesù ci insegna che la nostra vita umana non si compie nel difendere egoisticamente noi stessi e i nostri presupposti interessi. “Pensa solo a te” è l’illusione del male, è la maschera del peccato che ci fa incattivire sempre più gli uni contro gli altri, per questo non è il modo cristiano di pensare e di agire, non è quello che Gesù ci dice e ci insegna con ogni sua parola e in ogni santa messa.
Ce lo ripete in modo speciale anche questa sera, in questo memoriale della sua ultima cena, durante la quale non a caso ci lascia il suo ultimo comandamento (la sua ultima raccomandazione): “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Non c’è altro comandamento per il cristiano, non c’è altra via per vincere il male e il peccato, non c’è altra via per giungere alla Pasqua!“.
Dopo l’omelia, il Vescovo Carlo ha lavato i piedi di dodici fedeli. Al termine della liturgia eucaristica, sulle note del Pange lingua gloriosi, il Santissimo Sacramento è stato riposto nell’altare del Sacro Cuore, dove i fedeli hanno potuto adorarlo. Come previsto dalla liturgia del Giovedì Santo, l’altare è stato spogliato.