Sarah Numico e Marco Calvarese
La Gran Bretagna andrà alle urne il 23 maggio per scegliere le persone che la rappresenteranno all’Europarlamento. Certo, ciò avverrà solo nell’ipotesi che non si trovi per tempo una soluzione sull’accordo dell’uscita del Regno Unito dall’Ue, ma a giudicare dal clima di mobilitazione pre-elettorale che si respira, la possibilità non pare all’orizzonte, per lo meno entro il 22 maggio. I partiti britannici stanno definendo le loro liste, alcuni hanno iniziato già la campagna elettorale, il sito del Parlamento europeo nel Regno Unito offre tutte le indicazioni pratiche per i voto. Ciò implica tra l’altro che, dalla tornata del 23-26 maggio saranno eletti 751 eurodeputati e non più 705, come era stato definito con complicati calcoli e ripartizioni che consideravano la Gran Bretagna fuori dall’Ue il 29 marzo 2019.
Il silenzio dei Brexiteers incalliti. È lo stesso leader del Brexit party, Nigel Farage, ad aver profetizzato nei giorni scorsi “Tornerò!” parlando in emiciclo, nella sua ultima apparizione di questa legislatura. Lo avremmo voluto incontrare a Strasburgo, ma come d’abitudine è arrivato nella sede dell’Eurocamera, ha sbraitato e poi se ne è andato. I colleghi di Farage invece sono rimasti a Strasburgo; dopo lunghe e vane ricerche negli uffici, ci è stato detto che li avremmo trovati al bar dei deputati (indicazione rivelatasi azzeccata) e alla domanda: “Allora andrete a votare il 23 maggio?”, hanno risposto: “è una mistificazione”, con aria infastidita, perché interrotti nella bevuta e perché Brexit non decolla. E non hanno accettato di farsi intervistare.
Verdi: opinione pubblica più informata. “Certamente ci stiamo preparando per il 23 maggio. Presumere che non succederà nulla, significherebbe la creazione potenziale di un vuoto per il nostro partito nel caso in cui ci fossero le elezioni, ed è ciò che io spero fortemente”, ci dice invece Jean Lambert, eurodeputata verde. “Capisco che per alcuni le elezioni possono sembrare un tradimento del referendum, ma per altro verso il nostro governo non è ancora stato in grado di trovare una strada per portarci fuori dall’Ue, per cui siamo ancora membri e come tali abbiamo alcune responsabilità, tra cui quella di svolgere le elezioni per il Parlamento europeo”, continua Lambert. Secondo l’eurodeputata sta “avvenendo un cambiamento nel sentire generale” e “le elezioni saranno un luogo ottimale per testarlo”. Tra l’altro, “ironia della sorte, avremo delle elezioni con un’opinione pubblica meglio informata e più desiderosa di fare domande su che cosa i candidati faranno al Parlamento europeo e quali saranno le loro priorità di quanto non sia avvenuto nelle edizioni passate”.
La preoccupazione dei Tories. Sul fronte dei conservatori ovviamente prevale la preoccupazione “di far passare l’accordo” spiega Syed Kamall, Tory e capogruppo dei Conservatori e riformisti europei a Strasburgo; poi ci saranno le elezioni locali che si svolgeranno all’inizio di maggio e “su queste si stanno concentrando la maggioranza delle persone”. Per Kamall se si andrà alle urne per l’Europa il 23 maggio “molti lo sentiranno come un tradimento e saranno arrabbiati per il fatto che non abbiamo lasciato ancora l’Ue”. Da Kamall un’esortazione al realismo: “Dobbiamo vivere nel mondo così come è, e la situazione è che il parlamento britannico sta bloccando il Brexit”. Neanche Kamall esclude un suo ritorno al Parlamento europeo per portare avanti la sua lotta “perché più politiche siano decise a livello di Stati membri”, perché “l’Ue faccia di meno, ma lo faccia meglio, su ambiti molto specifici, garantendo il riconoscimento della sovranità nazionale, lavorando su una agenda più globale, per il libero commercio e abolendo le barriere per commerciare tra Paesi”.
Laburisti contro le fake news. Per Richard Corbett, capolista dei laburisti per le prossime elezioni europee, oggi membro dell’Alleanza progressista dei Socialisti & Democratici al Parlamento Ue le elezioni del 23 maggio saranno “un test: secondo i sondaggi l’opinione pubblica si è spostata riguardo al Brexit, per cui adesso la maggioranza è contro l’uscita dall’Unione”. Spiega al Sir che le elezioni non sono un referendum: “c’è una molteplicità di opzioni, diversi partiti più piccoli, che sono contro Brexit ma che in diverse circoscrizioni non avranno voti abbastanza per avere un seggio”: saranno i voti da contare non i seggi”. Secondo sondaggi di questi giorni – argomentiamo – c’è comunque il 27% degli elettori che voterebbe per il partito Brexit di Farage; Corbett ribatte, “ciò significa che il 73% di persone non lo voterebbero”. E poi quel sondaggio è stato fatto il giorno dopo il lancio della campagna del nuovo partito di Farage: “Bisogna vedere quando la situazione si sarà calmata”. Per Corbett ovviamente il Regno Unito deve rimanere nell’Ue “perché non riusciamo a risolvere efficacemente i problemi da soli” e “l’azione congiunta è più efficace” su tanti temi, e cita: cambiamenti climatici, evasione fiscale delle multinazionali, regole per il mercato comune che proteggano consumatori, lavoratori, ambiente. Perché i britannici non prendono in considerazione i benefici dell’Ue? La colpa secondo Corbett è del partito al governo “che da oltre un decennio sta vivendo una guerra civile sul tema Europa, lacerandosi al suo interno”; poi ci sono “i neoliberali, che non vogliono che il mercato europeo sia regolato”; infine “il fatto che le grandi testate nazionali sono nelle mani di tre gruppi anti-Ue (Murdoch, Rothermere, fratelli Barcley) che cercano di mostrare l’Ue come stupida o pericolosa, scrivendo storie spesso completamente inventate”.
Le preoccupazioni del Sinn Fein. Tra i punti del dissidio a Westminster è quanto prevede il Brexit sul tipo di frontiera che verrebbe a crearsi tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda: per gli Accordi del venerdì santo è da escludere la frontiera rigida tra il Nord e la Repubblica; per i conservatori è da escludere una frontiera non rigida, perché significherebbe di fatto una non uscita dal mercato unico. Proprio negli Accordi del venerdì santo però sarebbe la soluzione, secondo Martina Anderson, ricandidata alle elezioni di maggio per Sinn Fein e oggi al Parlamento nella Sinistra unitaria europea: negli accordi si stabiliva che “la posizione costituzionale dell’Irlanda del Nord non sarebbe cambiata a meno che noi, le persone che ci viviamo, dessimo il nostro consenso”. Non è stato dato alcun consenso a “essere trascinati fuori dall’Ue” col Brexit, che Anderson definisce “disastro”, “caos”, “farsa”. “Se gli abitanti dell’Irlanda del Nord vogliono restare con la Gran Bretagna, così sia, e se vogliono rimanere nell’Ue, si apra un percorso democratico perché il Nord rientri nell’Ue attraverso la riunificazione dell’Irlanda”. Guardando al futuro, c’è una lezione che l’Europa deve imparare: “È la lezione dei milioni di cittadini che hanno respinto il Ttip e Ceta e tutte queste politiche commerciali. Le persone si sentono molto affezionate alla rappresentanza democratica ed è giusto così, ma vogliono deputati che rappresentino loro, non le grandi corporazioni, e questo è ciò che è sbagliato qui ed è ciò per cui ci siamo impegnati”.
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