DIOCESI – Pubblichiamo la lettera della Caritas Diocesana
Sabato pomeriggio. Con Suor Vigea, Lamine, Dame e Sori andiamo al centro commerciale per un po’ di spesa.
Mentre scegliamo i prodotti incontriamo degli amici, tra questi anche una giovane signora dai capelli rossi e un sorriso smagliante.
Un rapido scambio di battute, ricordiamo esperienze vissute insieme e ci salutiamo. Ma arrivando alla cassa, prima di noi, si introduce la nostra amica con una strana richiesta:
“Fatemi felice: voglio pagare la spesa per la Caritas. Per ora non riesco a fare altro!”.
Cerchiamo di opporci ma tutto è inutile: paga lei il conto. Lamine si lascia andare ad uno spontaneo e caloroso abbraccio! Inimmaginabili la nostra meraviglia e i nostri ringraziamenti. Una riflessione allora s’impone: forse gli italiani non sono come certi social li vogliono far apparire! Qualcuno parla di ‘buonismo’, ma tantissimi compiono davvero ‘gesti buoni’, come avviene anche tra tanti uomini giunti da altri paesi: alcuni si sono inseriti nel fiorente mercato mafioso dello spaccio di sostanze (crescono a dismisura anche nella nostra città gli acquirenti) ma moltissimi contribuiscono alla crescita del nostro paese (penso ai giovani richiedenti asilo che ogni giorno servono alla mensa Caritas di San Benedetto: senza di loro non potremmo assicurare questo servizio!). Il popolo italiano è sempre stato conosciuto nel mondo per la sua capacità di entrare in sintonia con il prossimo, per la sua com-passione nei confronti degli ultimi. Ora invece si stanno diffondendo disprezzo e derisione, una mentalità che si insinua purtroppo anche nei nostri ragazzi, fino a tradursi in gesti a dir poco disumani. Basti pensare a quanto successo ad Antonio di Manduria, chiamato ‘il pazzo’, che una banda di 14 ragazzini ha perseguitato fino alla morte, nell’indifferenza di tutti.
Ha scritto Marco Tarquinio nell’editoriale di Avvenire di sabato 24 aprile, che oggi è in atto una strategia contro le reti di solidarietà: “Le mense e gli ostelli della Caritas e degli altri accoglienti diventano la «mangiatoia», le Case famiglia sono liquidate come «business», sul rilancio delle misure alternative al carcere e di recupero dei detenuti viene messa una pietra sopra, chi fa cooperazione sociale è denigrato come affarista e persino malavitoso, le organizzazioni umanitarie (le famose Ong…) sono trattate da nemici del genere umano e dell’ordine pubblico…”. Tutto questo non appartiene di base alla cultura del nostro popolo, purtroppo però diventa una mentalità che fa sempre più presa quando si smette di pensare e di agire secondo la propria etica per ripetere slogan che risuonano nel cervello tribale di ognuno di noi e che spesso cercano non lo splendore della verità, ma semplicemente il consenso che porta al potere.
Il prof. Zamagni, esperto di economia civile, riassume questo paradosso con la parola aporofobia, parola greca che vuol dire ‘disprezzo del povero’. «Non si era mai visto un conflitto del genere, si tratta di una novità ignota alle epoche precedenti», afferma quando gli si chiede conto della stagione che stiamo attraversando, dell’odio riversato sugli ultimi e della palese insofferenza nei confronti di chi, dal basso, prova a trovare soluzioni a misura d’uomo alla povertà, alle migrazioni, alla domanda di futuro dei più fragili (cfr. intervista su Avvenire di sabato 27 aprile 2019 – Il Terzo settore è sotto attacco, un conflitto mai visto). Viene da chiedersi se si può ancora rimanere alla finestra a guardare, oppure se non sia arrivato il tempo, di calarsi dentro questa nostra storia, per ‘creare massa critica’, per essere incisivi, per realizzare la trasformazione epocale, evocata da papa Francesco, tornando a fare una ‘politica buona’, per essere nella società una presenza profetica. Interessante a tal proposito quanto scrive Luigino Bruni: “Anche molte comunità nascono profetiche e poi col passare del tempo molte volte finiscono per diventare comunità sacerdotali radunate dentro e attorno al tempio. Ciò accade quando l’importanza data all’altare dentro le chiese fa dimenticare le croci che stanno fuori, perché è solo il grido dei crocifissi che riesce a squarciare i veli separatori in tutti i templi della terra….”.
Come suggeriscono i vangeli di questo tempo pasquale, allontaniamo paralizzanti paure, che continuano a rinchiuderci dentro quei muri, esteriori ed interiori che, prima o poi, potrebbero sprofondarci dentro una tomba. Avviciniamoci al Risorto, fino a toccare quelle ferite che raccontano di un amore ‘fino alla fine’: avremo la forza di porre gesti gratuiti di prossimità , di condivisione, di tenerezza, coscienti che “la solidarietà può essere umiliata e azzannata, ma non può essere smontata del tutto. Rinasce, ricomincia”. Il bene vince sempre e rende felici. Tornando dal centro commerciale, ci siamo accorti di portare con noi non solo nel bagagliaio dell’auto la spesa offerta, ma anche, nel cuore e nella mente il contagioso sorriso di quella giovane donna che ci ha mostrato quanto è vera la parola di Dio: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20,35).