Come è consuetidine al termine di ogni viaggio apostolico, sull’aereo che lo stava riportando a Roma, Papa Francesco ha voluto incontrare i giornalisti al seguito che gli hanno voluto alcune domande. Il direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede Alessandro Gisotti ha invitato l’inviata macedone e quello bulgaro a rivolgere le prime domande al Pontefice
Bigana Zherevska della Tv macedone MRT. Qual è stata la sua impressione di questi giorni e dei due Paesi visitati? Che cosa ricorderà?
R. – «Sono due nazioni totalmente diverse. La Bulgaria è una nazione con una tradizione di secoli. La Macedonia pure ha una tradizione di secoli ma non come Paese, come popolo. È riuscita ultimamente a costituirsi come nazione, una bella lotta. Per noi cristiani la Macedonia è un simbolo dell’entrata del cristianesimo in Occidente. Il cristianesimo è entrato in Occidente attraverso di voi, un macedone ha chiamato Paolo che invece voleva andare in Asia. Il popolo macedone non perde l’opportunità di ricordarci che il cristianesimo è entrato attraverso la vostra porta perché Paolo è stato chiamato da un macedone. La Bulgaria ha dovuto lottare tanto come nazione, nel 1877 sono morti 200mila soldati russi per riprendere l’indipendenza dalla mano degli Ottomani. Tante lotte per l’indipendenza, tanto sangue, tanta mistica per consolidare l’identità. In tutti e due i Paesi ci sono comunità cristiane ortodosse, cattoliche e anche musulmane. La percentuale ortodossa è molto forte in ambedue. Quella musulmana di meno. Quella cattolica è minima (in Bulgaria più grande che in Macedonia). Ma una cosa che ho visto in ambedue le nazioni: ci sono buoni rapporti tra i differenti credo: in Bulgaria lo abbiamo visto con la preghiera per la pace. Questo è normale per i bulgari: ognuno ha il diritto di esprimere la propria religione e ha il diritto di essere rispettato: questo mi ha colpito. Poi il colloquio con il patriarca Neofit mi ha edificato tanto, è un uomo di Dio! In Macedonia mi ha colpito una frase del Presidente: “Qui non c’è tolleranza di religione, c’è rispetto”. Si rispetta. E questo oggi, in un mondo in cui manca il rispetto per i diritti umani, per i bambini, per gli anziani, che la mistica di un Paese sia il rispetto, mi ha fatto bene».
Petas Nanev, della Tv bulgara BTV. Lei come essere umano, dove trova forza nel suo corpo, nel suo spirito?
R. – «Prima di tutto vorrei dirti che non vado dalla strega. Non so, davvero. È un dono del Signore. Quando io sono in un Paese mi dimentico di tutto, ma non perché io voglia. Mi viene da dimenticarmi e soltanto sono lì. E poi questo mi dà perseveranza. Io nei viaggi non mi stanco. Poi mi stanco, dopo. Credo che il Signore mi dia forza. Io chiedo al Signore di essere fedele, di servirlo, che questi viaggi non siano fare turismo. E poi…non faccio tanto lavoro!»
Silvije Tomasevic, di Vecernji List. Nella Chiesa nazionale ortodossa tra di loro non sono sempre in concordia: per esempio non hanno riconosciuto la Chiesa macedone. Ma quando si tratta di criticare la Chiesa cattolica sono sempre concordi: per esempio non vogliono santo il beato cardinale Stepinac. Può dirci qualcosa sul processo di canonizzazione?
R. – «In genere i rapporti sono buoni, e c’è buona volontà. Io posso dirvi sinceramente che ho incontrato tra i patriarchi uomini di Dio. Neofit è un uomo di Dio. E poi Elia II, io lo porto nel cuore, ho una preferenza per il patriarca della Georgia, è un uomo di Dio che mi fa tanto bene. Bartolomeo è un uomo di Dio, Kirill è un uomo di Dio… ma lei potrebbe dirmi: questo ha questo difetto, quello è troppo politico… Ma tutti abbiamo difetti, anch’io ne ho. Tutti sono uomini di Dio. Poi ci sono cose storiche delle nostre Chiese, alcune vecchie: il Presidente oggi mi parlava che lo scisma d’Oriente è incominciato qui in Macedonia. Adesso viene il Papa per ricucire lo scisma? Non so. Siamo fratelli, non possiamo adorare la santa Trinità senza le mani unite dei fratelli. Sulla canonizzazione di Stepinac: lui era un uomo virtuoso, per questo la Chiesa l’ha dichiarato beato. Ma a un certo momento del processo ci sono stati punti non chiariti e io che devo firmare la canonizzazione, pregando, riflettendo e chiedendo consiglio, ho visto che dovevo chiedere aiuto al patriarca serbo Ireneo e lui ha dato aiuto. Abbiamo fatto una commissione storica insieme: sia a lui che a me l’unica cosa che interessa è non sbagliare, ci interessa la verità. Adesso si stanno studiando altri punti perché la verità sia chiara. Io non ho paura della verità. Soltanto ho paura del giudizio di Dio»
Joshua McElwee, del National Catholic Reporter. In Bulgaria lei ha visitato una comunità ortodossa che ha coltivato la tradizione di ordinare le donne diacono per proclamare il Vangelo. Fra pochi giorni lei incontrerà l’Unione internazionale delle Superiori generali: che cosa ha imparato dal rapporto della commissione, sul ministero delle donne nei primi anni della Chiesa? Ha preso qualche decisione sul diaconato femminile?
R. – «È stata fatta la commissione, ha lavorato per quasi due anni. Tutti avevano pareri diversi, ma hanno lavorato insieme e si sono messi d’accordo fino a un certo punto. Ognuno di loro poi ha la propria visione, che non concorda con quella degli altri e lì si sono fermati come commissione. Sul diaconato femminile: c’è un modo di concepirlo non con la stessa visione del diaconato maschile. Per esempio, le formule di ordinazione diaconale trovate fino adesso non sono le stesse per l’ordinazione del diacono maschile, e assomigliano piuttosto a quella che oggi sarebbe la benedizione abbaziale di una badessa. Questo è il risultato. Altri dicono no, questa è una formula diaconale… C’erano delle diaconesse all’inizio. Ma la loro era un’ordinazione sacramentale o no? Loro aiutavano. Per esempio nella liturgia dei battesimi, che erano per immersione, quando si battezzava una donna le diaconesse aiutavano… Poi si è trovato un documento dove si vedeva che le diaconesse erano chiamate dal vescovo quando c’era una lite matrimoniale per lo scioglimento del matrimonio. Le diaconesse erano inviate a guardare i lividi del corpo della donna picchiata dal marito. Ma non c’è certezza che la loro fosse una ordinazione con la stessa forma e la stessa finalità dell’ordinazione maschile. Alcuni dicono: c’è il dubbio. Andiamo avanti a studiare. Ma fino a questo momento non va. Poi è curioso che dove c’erano le diaconesse era quasi sempre una zona geografica, soprattutto la Siria… Tutte queste cose le ho apprese dalla commissione, si è fatto un bel lavoro e questo può servire per andare avanti e dare una risposta definitiva sul sì o sul no. Adesso nessuno lo dice ma alcuni teologi di 30 anni fa, dicevano che non c’erano le diaconesse perché le donne erano in secondo piano nella Chiesa e non solo nella Chiesa. Ma è curioso: in quell’epoca c’erano tante sacerdotesse pagane, il sacerdozio femminile nei culti pagani era all’ordine del giorno. Siamo a questo punto e ognuno dei membri sta studiando sulla sua tesi»
Prima di congedarsi dai giornalisti il Papa ha voluto aggiungere due ricordi sul viaggio in Bulgaria e Macedonia
«Una cosa del viaggio, mi ha toccato: due esperienze forti. Una con i poveri in Macedonia nel memoriale di Madre Teresa. C’erano tanti poveri, ma vedere la mitezza di quelle suore: curavano i poveri senza paternalismo, come fossero figli. Una mitezza, e anche la capacità di accarezzare i poveri. Oggi noi siamo abituati a insultarci: il politico insulta l’altro, un vicino insulta l’altro, anche nella famiglia ci si insulta. Non oso dire che c’è una cultura dell’insulto, ma è un’arma a portata di mano, anche lo sparlare degli altri, la calunnia, la diffamazione. Vedere queste suore che curavano ogni persona come fosse Gesù. Mi ha colpito anche quando si è avvicinato un giovane e la superiora mi ha detto: “Questo è bravo: preghi per lui perché beve troppo!”. Lo ha carezzato con la tenerezza di una mamma. Questo mi ha fatto sentire la Chiesa madre. E ringrazio la Macedonia del Nord di avere questo tesoro».
«E poi un’altra esperienza forte, sono state le prime comunioni in Bulgaria: io mi sono emozionato perché la memoria è andata all’8 ottobre 1944, alla mia prima comunione… ho visto quei bambini che si aprono alla vita con una decisione sacramentale. La Chiesa custodisce i bambini, sono un limite perché sono ancora piccoli, sono una promessa, devono crescere. Ho sentito che in quel momento quei 242 bambini erano il futuro della Chiesa e della Bulgaria».
(Sintesi non ufficiale raccolta da Andrea Tornielli per Vatican News)