“Lampedusa dei Caraibi”? Forse la definizione è eccessiva. Ma rende l’idea di un’isola, Trinidad, la maggiore della repubblica di Trinidad e Tobago, che ha visto la sua esistenza completamente “sconvolta” dall’arrivo, negli ultimi anni e soprattutto negli ultimi mesi, dei profughi venezuelani. Certo, il gigantesco esodo di venezuelani avviene in gran parte attraverso la terraferma e soprattutto per la frontiera colombiana (circa tre milioni e mezzo di persone). Ma, se parametrato al poco più di un milione di abitanti di Trinidad y Tobago, i 40mila emigranti giunti soprattutto nella capitale Port of Spain (dati Acnur) costituiscono una presenza di grande impatto. Una situazione che riguarda, in maniera simile, pur con numeri inferiori, anche le Antille Olandesi, che si affacciano sulla costa venezuelana: 16mila i profughi giunti a Cucacao, 10mila ad Aruba. Le isole delle Antille costituiscono una presenza singolare, rispetto al Venezuela. Sono separate da un braccio di mare dal continente, ma sono lontane anni luce per storia, costumi, lingue. A Trinidad e Tobago di parla inglese, ad Aruba e Curacao olandese.
Drammatici naufragi. L’afflusso dei profughi arriva sia per via aerea che per via marittima. Sono 22 le persone disperse nel naufragio di un imbarcazione, verificatosi giovedì scorso. Prima di questo fatto, aveva suscitato una forte impressione, a fine aprile, il naufragio di una piccola imbarcazione diretta verso Trinidad, che trasportava oltre trenta profughi, ma maggior parte dei quali è deceduta. Un segnale che la disperazione, in Venezuela, è tanta e che i viaggi della disperazione potrebbero avere un’escalation.
Anche il Mar dei Caraibi potrebbe diventare un mare dove si incontra ogni giorno la morte (qualche settimana fa un altro naufragio si è verificato molto più a nord e ha coinvolto dei profughi haitiani che cercavano di raggiungere le Bahamas).
Solo la Chiesa si mobilita. Chi arriva a Port of Spain e in altre località dell’isola di Trinidad trova una società civile e istituzioni politiche impreparate, come conferma l’arcivescovo di Port of Spain, mons. Charles Jason Gordon: “Trinidad e Tobago – spiega – non ha una legislazione nazionale in vigore per affrontare attivamente l’attuale crisi dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Per anni il gruppo ecclesiale Comunità di acqua viva (Lwc) è stata l’unico punto di riferimento per migranti e rifugiati, lavorando in sinergia con l’Unhcr. Con la recente istituzione di un Ministero parrocchiale per i migranti e i rifugiati (Pmmr) in tutta l’arcidiocesi, la Chiesa cattolica ha intensificato i suoi sforzi generali per ascoltare questo appello e promuovere la dignità dei migranti”. Del resto, riflette l’arcivescovo, “mostrare ospitalità e accogliere lo straniero è uno dei modi per costruire una civiltà dell’amore. Per questo, nel maggio del 2018, ho istituito il Pmmr in tutte le parrocchie, con gli obiettivi indicati dal Papa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare migranti e rifugiati nelle parrocchie”. Leela Ramdeen è la persona scelta dal vescovo per coordinare il progetto. Spiega al Sir: “In realtà da anni migranti di tante nazionalità giungono a Trinidad e Tobago, ma nulla a che vedere con l’afflusso straordinario di venezuelani”. Un compito esecutivo e insieme educativo, quello che spetta all’operatrice: “Dopo il recente naufragio il mio cuore si è rattristato nel leggere alcuni commenti sui social network. Alcuni di noi hanno perso il grande tesoro della compassione?”.
Prosegue l’arcivescovo:
“In marzo abbiamo organizzato un incontro di scambio e formazione per i rappresentanti delle sessantuno parrocchie dell’Arcidiocesi, per condividere le loro esperienze, sviluppare una visione comune e approfondire il ministero parrocchiale nei confronti di migranti e rifugiati nel nostro paese. Attualmente, nell’ambito del progetto diocesano, vengono forniti cibo, vestiario, alloggio, assistenza sanitaria di base, sostegno psico-sociale e spirituale (per esempio con la messa celebrata in spagnolo), iniziative formative e di lingua inglese per bambini e adulti, servizi di traduzione, sostegno per inserirsi in una società così diversa come la nostra, amicizia, spazi sicuri in cui incontrarsi per socializzare. Gli atteggiamenti positivi, l’apertura e la generosità a livello parrocchiale sono indicazioni che Dio è fedele fino a incontrare le sfide e le opportunità che esistono”.
Manca una legge sui rifugiati. Il numero stimato di 40mila venezuelani giunti finora “sembra ogni giorno in modo esponenziale – prosegue mons. Gordon -. I venezuelani sono i nostri vicini più prossimi e con l’amore di un vicino li abbracciamo come fratelli e sorelle in Cristo che partecipano all’opera di Dio per tutti i figli di Dio, non solo come persone bisognose”. Mentre la Chiesa si organizza in modo capillare, resta il problema di una legislazione precisa e di scelte politiche coerenti, anche se il Governo ha ammorbidito l’iniziale politica di massicci rimpatri. Finora, come riferisce Leela Ramdeen, non è stata approvata una legge che disciplina la concessione dello status di rifugiati, nonostante Trinidad e Tobago abbia aderito alla Convenzione del 1951 sui Rifugiati: “Nell’attuale situazione non si possono importare adeguate politiche di inserimento, non si possono mandare a scuola i bambini e inserire nel lavoro i migranti, con li rischio che aumentino coloro che entrano nel giro della malavita. Purtroppo, qui tra un anno ci sono le elezioni e il Governo non sembra interessato a esporsi su un tema così delicato”.