A partire da luglio nessuna pubblicità, sponsorizzazione o logo concernenti il gioco d’azzardo dovrebbero vedersi su carta stampata, internet, radio, magliette, gadget, in televisione o negli eventi e spettacoli. Infatti, l’articolo 9 del decreto-legge n. 87 del 2018 vieta qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse, nonché al gioco d’azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo. Ora la fase transitoria per i contratti pubblicitari in vigore al momento dell’approvazione del decreto dignità sta per concludersi. Eppure, le linee guida attuative del divieto di pubblicità emanate il 18 aprile scorso dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) destano preoccupazioni. Ne parliamo con Attilio Simeone, coordinatore del cartello “Insieme contro l’azzardo”, costituito all’interno della Consulta nazionale antiusura.
Sono giuste le preoccupazioni suscitate dalle linee guida dell’Agcom?
L’Agcom, Autorità “indipendente”, nell’emanare le linee guida attuative del divieto di pubblicità come disciplinato dal decreto, non si è limitata a un’interpretazione letterale, logica e sistematica, come normalmente dovrebbe farsi, ma si è lanciata in una vera e propria crociata contro una misura decisa dal Parlamento rendendo, potenzialmente, vano il tentativo di porre un argine a una patologia di massa.Si aprono di fatto nuovi scenari in cui possono certamente trovare posto forme dirette e indirette di pubblicità dell’azzardo legale e illegale.Vorrei sottolineare l’eccesso di potere dell’Agcom frutto, anche, di un difetto di istruttoria. In un Paese “normale” gli organi dello Stato si interfacciano, oltre che tra essi, anche con le formazioni sociali ammesse dalla nostra Costituzione. Non con interessi privati, dunque, ma l’Agcom avrebbe dovuto audire il Ministero della Salute, le relative Commissioni parlamentari, le Associazioni di tutela di interessi diffusi, non certo le concessionarie che, al contrario, sono chiamate a prendere atto della legge dello Stato. Addirittura, tra i soggetti auditi, vi sono società che hanno sede all’estero e che, oggettivamente, non hanno alcun interesse a tutelare i soggetti vulnerabili, come, al contrario, avrebbe imposto l’art. 9 del d.l. 87/2018. Questa premessa è fondamentale per comprendere l’errore in cui è incorsa l’Agcom le cui linee guida rischiano di aprire nuovi e infiniti conflitti giudiziari.
Qual è l’idea di fondo delle linee guida?
Le linee guida rischiano di limitare fortemente il divieto di pubblicità voluto dal Parlamento facendo unicamente leva su una paventata violazione della libertà di iniziativa economica come prevista dall’art. 41 della Costituzione. Anche qui, dobbiamo intenderci: nel caso che ci riguarda l’art. 41 della Costituzione non sarebbe affatto invocabile in quanto proprio
la nostra Costituzione tutela solo l’iniziativa economica, anche privata, che non sia in contrasto con l’utilità sociale:
requisito, quest’ultimo, totalmente compromesso dal modello attuale di offerta di azzardo. Inoltre, non vi è alcuna attinenza tra l’art. 41 della Costituzione e la materia dei giochi che, come si sa, è di riserva esclusiva dello Stato, il quale la esercita attraverso concessioni e non autorizzazioni, nel qual caso sarebbe richiamabile la disposizione costituzionale. Tra l’altro, anche per le ultime pronunce della Corte costituzionale è da ritenere non applicabile l’art. 41 alla materia in quanto la limitazione della pubblicità sarebbe costituzionalmente legittima perché è finalizzata a tutelare la salute dei soggetti più vulnerabili. Oltretutto, non è affatto dimostrato che il gioco legale faccia ridurre il gioco illegale. Al contrario, gli esperti concordano nel ritenere che non ci sia alcuna differenza tra le due forme e che, in realtà, si autoalimentano a vicenda: all’aumento del consumo del gioco legale, aumenta anche quello illegale.
In che modo le linee guida aprono a forme di promozione del gioco d’azzardo?
Le linee guida, come deliberate, aprono a diverse forme di pubblicità: sarà possibile pubblicizzare le vincite presso i punti vendita; sarà possibile pubblicizzare l’operatore concessionario dell’azzardo dietro la giustificazione di volersi distinguere da chi lo offre illegalmente; sarà possibile effettuare comunicazioni per finalità sociali contenenti tratti distintivi della pubblicità; sarà possibile pubblicizzare il nome dell’azienda (ciò che accade come sponsorizzazione delle società di calcio) in quanto tale forme è ritenuta pubblicità “neutra”; sarà possibile reclamizzare pubblicità sulle quote di scommesse con inevitabile incentivo indiretto alla scommessa.
Di fronte a queste linee guida, allora, come Consulta nazionale antiusura e Cartello “Insieme contro l’azzardo” cosa chiedete?
È pensabile che l’Agcom non abbia gli strumenti per valutazioni tanto scontate quanto banali per una Autorità specifica? Perché emanare delle linee guida che palesemente violano lo spirito della legge? La vulnerabilità come condizione psicologica non è mai valutabile a priori mentre ogni forma di comunicazione ha in sé un aspetto promozionale. Nel caso specifico l’interesse di Agcom, sul piano della mission oltre che su quello giuridico, dovrebbe essere proprio il contrario di quello riportato nelle linee guida.
Va cassata su tutta la linea l’intera impostazione e speriamo che il Parlamento intervenga il prima possibile.
Vanno riscritte con legge le regole attinenti alle comunicazioni sociali e soprattutto convocando soggetti istituzionali preposti alla tutela di interessi sociali diffusi. Questo è un goffo tentativo di forzare la legge, usando una istituzione (Agcom) debole e in scadenza di mandato.Il Governo intervenga recuperando lo spirito iniziale e gli impegni assunti nella campagna elettorale.Di certo, questi tentativi così come le parole del sottosegretario Mef con delega ai giochi Alessio Villarosa (M5S) pronunciate alla manifestazione dell’8 maggio organizzata dalla Federazione italiana dei tabaccai non sono affatto rassicuranti (“L’azzardo legale sconfigge quello illegale”, “Serve un riordino nazionale contro le normative a macchia di leopardo”, “Non siamo proibizionisti”, tra le frasi che hanno suscitato polemiche, ndr).