Il giovane Carlo Maria Martini visse in un momento particolare la sua formazione di religioso gesuita, seppe però, nella temperie di allora, prestare orecchio e sentire profondo ad un mutamento che serpeggiava e che chiedeva di essere accolto: lo Spirito stava facendo riscoprire la Parola di Dio.
Come creare una nuova armonia fra il Libretto degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, cardine della vita interiore per ogni gesuita, e la Sacra Scrittura?
La lettura, la meditazione, la contemplazione della Parola di Dio, sia nello svolgersi di un corso di Esercizi, sia nella vita orante quotidiana era quella tipica del XVI secolo, come secolo aprire l’uno all’altra nel XX e XXI?
I rischi erano notevoli, si sarebbe potuti naufragare oppure edulcorare lo spirito ignaziano.
Martini seppe far sua l’intuizione del Generale P. Jansens espressa in una lettera del 1951 indirizzata alla Compagnia di Gesù sulla preghiera che, allora, era molto strutturata ma conduceva al tema della lettura meditata della “Lectio divina”.
Francesco Rossi de Gasperis fu un precursore, scrive presentando un suo libro: “Le pagine seguenti riferiscono la modesta esperienza di uno ‘che dà gli esercizi spirituali’ da circa venticinque anni, e che, dopo aver cercato lungamente di integrare la Bibbia negli Esercizi, ha finito per integrare gli Esercizi nella Bibbia”.
Il terreno era dissodato, toccò a Martini seminare e far fiorire. Nel 1974 diede gli Esercizi ad un gruppo di gesuiti e ne seguì la pubblicazione Gli esercizi ignaziani alla luce del Vangelo di Giovanni.
Nella prefazione viene toccato il punto nevralgico: “Ci sembra infatti che il padre Martini apra con questo corso una nuova strada”, che si dimostrerà ardua ma feconda e rigorosa.
“La sutura tra Vangelo e elementi ignaziani” fu il basso continuo degli innumerevoli corsi di Esercizi da lui dati, all’interno di un metodo preciso: “In un corso di Esercizi, però, non conta tanto il tema, perché il lavoro fondamentale è quello che ciascuno deve compiere secondo una linea che ha alcuni punti portanti: ascolto, lettura, riflessione, preghiera, comunicazione nella fede”.
P. Martini si ritiene un suggeritore e, anche se guida, rimane in secondo piano perché il primo deve risplendere: “ciò che ritengo il punto nodale è che gli esercizi sono un ministero dello Spirito, un mettersi in ascolto dello Spirito perché ci aiuti a conoscere la volontà di Dio nell’oggi, per abbracciarla e compierla con gioia e fiducia. Lo Spirito infatti non lascia immobili, fa sempre danzare e ci scioglie dai nostri movimenti rigidi”.
In una società come la nostra dove regna la certezza di poter controllare tutto e tutto dirigere, di sentirsi autori e creatori, l’ammonimento di Martini è lapidario: “È la Scrittura che ci mantiene nella sana dottrina, che ci mette in guardia da spiritualità frutto di costruzioni umane, dalla pretesa di salvarci con i nostri mezzi; Dio solo ci salva e la Bibbia racconta la storia di questa semplice verità, del primato dell’amore, della tenerezza e del perdono di Dio in Gesù crocifisso”.
Il gesuita del secolo corrente non dimentica il padre Ignazio: “Del resto, che cosa sono i suoi Esercizi spirituali se non una introduzione alla sapienza della croce? La novità di Ignazio consiste nel metodo: quello di fare conoscere Gesù a partire dalle Scritture, di fare rileggere la Bibbia mettendo al centro il mistero dell’umiltà di Gesù sulla croce”.
Da gesuita, e poi da cardinale di Milano, C. M. Martini continuò a percorrere la nuova strada che aveva aperto e tracciato, continuando a donare con il gesto largo del seminatore, certo che si debba “chiedere la grazia di comprendere la Parola di Dio, di essere disponibili, di illuminazione: chiederla per noi e per tutti quelli che per ufficio, per vocazione, per impegno professionale devono occuparsi della Parola di Dio… chiedere che la Parola di Dio sia sempre per tutti fuoco che brucia, cioè qualcosa che non possiamo prendere tra le mani, ma da cui possiamo lasciarci scaldare e illuminare, qualcosa che sempre è al di sopra di noi, che ci rappresenta Dio come sempre più grande, di cui non possiamo mai capire abbastanza”.
Chi entra nel Duomo di Milano e sosta a pregare sulla sua tomba davanti al Crocifisso di San Carlo, può leggere il versetto della Scrittura che egli scelse da incidere sulla lapide: “Lampada per i miei passi è la tua Parola, Luce sul mio cammino”.