Emanuela Campanile – Città del Vaticano fonte www.vaticannews.it
Una storia che sembrava arrivata al capolinea ma che ritrova vigore e slancio grazie allo Spirito Santo. E’ la vicenda dei discepoli dopo la morte di Cristo, che Papa Francesco utilizza nella sua omelia in occasione di questa Domenica di Pentecoste. Fa rinascere, scardina paure e incertezze, dona forza nuova lo Spirito che, spiega il Pontefice, “fa vivere e rivivere Gesù in noi”, proprio come ha fatto con gli apostoli:
La vicenda dei discepoli, che sembrava al capolinea, viene insomma rinnovata dalla giovinezza dello Spirito: quei giovani, che in preda all’incertezza si sentivano arrivati, sono stati trasformati da una gioia che li ha fatti rinascere. Lo Spirito Santo ha fatto questo.
Potenza dello Spirito, prosegue Francesco, è portare “armonia dentro ma anche fuori, tra gli uomini”. E’ a questo punto che il Papa, come in uno specchio limpido, riflette e tratteggia le frenesie del mondo di oggi in cui “rischiamo di scoppiare”:
Sollecitati da un nervosismo continuo che ci fa reagire male a ogni cosa si cerca la soluzione rapida, una pastiglia dietro l’altra per andare avanti, un’emozione dietro l’altra per sentirsi vivi. Ma abbiamo soprattutto bisogno dello Spirito: è Lui che mette ordine nella frenesia. Egli è pace nell’inquietudine, fiducia nello scoraggiamento, gioia nella tristezza, gioventù nella vecchiaia, coraggio nella prova. È Colui che, tra le correnti tempestose della vita, fissa l’ancora della speranza.
Invece, quella dello Spirito Santo è un’ armonia che rispetta le diversità, che non le mette in contrapposizione e “ci fa Chiesa”, anche in un periodo storico in cui si è tutti molto ‘social’ e poco ‘sociali’. Il Papa, poi, mette in guardia da un pericolo spesso in agguato, anche nella Chiesa, e che nasce dall’atteggiamento di escludere l’altro preferendo la propria e unica realtà:
Sempre c’è la tentazione di costruire ‘nidi’: di raccogliersi attorno al proprio gruppo, alle proprie preferenze. E dal nido alla setta il passo è breve, anche dentro la Chiesa: quante volte si definisce la propria identità contro qualcuno o contro qualcosa! Lo Spirito Santo, invece, congiunge i distanti, unisce i lontani, riconduce i dispersi.
Lo Spirito Santo, procede il Papa, “plasma” la Chiesa e il mondo “come luoghi di figli e di fratelli”: due sostantivi svuotati della loro bellezza dalla cultura dell’insulto in cui, si rammarica Francesco, viviamo:
Possiamo dire che noi viviamo una cultura dell’aggettivo che dimentica il sostantivo delle cose; anche in una cultura dell’insulto, che è la prima risposta ad un’opinione che io non condivido.
Solo “chi vive secondo lo Spirito” può spezzare la logica del rendere “male per male passando da vittime a carnefici”:
Porta pace dov’è discordia, concordia dov’è conflitto. Gli uomini spirituali rendono bene per male, rispondono all’arroganza con mitezza, alla cattiveria con bontà, al frastuono col silenzio, alle chiacchiere con la preghiera, al disfattismo col sorriso.
Ma per “essere spirituali” e “gustare l’armonia dello Spirito”, spiega ancora il Pontefice, “occorre mettere il suo sguardo davanti al nostro”, altrimenti “la comunione” e “la Chiesa” contorcono e distorcono la propria natura, diventando fatica e perdendo il proprio significato:
Con lo Spirito la Chiesa è il Popolo santo di Dio, la missione il contagio della gioia, non il proselitismo, gli altri fratelli e sorelle amati dallo stesso Padre. Ma senza lo Spirito la Chiesa è un’organizzazione, la missione propaganda, la comunione uno sforzo. Lo Spirito è il bisogno primo e ultimo della Chiesa.
L’invito di Papa Francesco è dunque quello di perseverare nella preghiera quotidiana allo Spirito Santo “perchè ci renda artigiani di concordia, seminatori di bene, apostoli di speranza”:
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