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Papa Francesco torna nelle Marche. Vescovo Massara: “Il sogno più grande? “Ritornare nelle proprie case””

Di M. M. Nicolais

Arrivando a Camerino,  la prima e l’ultima cosa che Papa Francesco vedrà sarà quello che resta del campanile di Santa Maria in Via, crollato su una palazzina – per fortuna senza provocare vittime – subito dopo la scossa delle 21.18, quella più violenta del 26 ottobre 2016 e ora collocato proprio sulla strada, accanto alla chiesa della Madonna delle Carceri.  A rivelarlo è l’arcivescovo di Camerino-San Severino Marche, Francesco Massara, insediatosi da otto mesi ma già con gli occhi e col cuore vicino alla situazione di disagio – e nello stesso tempo alla voglia di riscatto – che sta vivendo la sua gente, anche a causa di quelle che il presule definisce “promesse mancate”. “Si rinasce se si lavora insieme”, l’appello. Il sogno più grande? “Ritornare nelle proprie case”.
Sarebbe molto bello se il Papa, il 16 giugno, riuscisse ad attraversare la città fino al Santuario di Santa Maria in Via. Quello che è certo è che il viaggio a Camerino comincerà con la  sosta alle strutture abitative emergenziali (Sae) in Località Cortine, dove Francesco entrerà in alcuni alloggi per intrattenersi con le famiglie.

“Sarà un momento di condivisione e di speranza”, annuncia mons. Massara. Poi, in forma privata, il Papa si recherà in piazza Cavour per visitare in forma privata la cattedrale e verificare di persona i danni provocati del terremoto.  A seguire l’incontro con i sindaci dei comuni della diocesi, “come forma di solidarietà e di vicinanza alle istituzioni locali”, spiega il vescovo. Alle 10.30 la celebrazione della Messa e l’Angelus, prima del pranzo al Centro San Paolo con i sacerdoti. Prima di ripartire, l’incontro al Palasport con i bambini della Prima Comunione, “per dare gioia a coloro che saranno il futuro del territorio”, conclude mons. Massara.

Siamo ormai alla vigilia dell’arrivo del Papa. Qual è il clima che si respira nella sua diocesi?
C’è un clima positivo, di gioia. La presenza del Santo Padre è una grazia per tutto il territorio, perché rappresenta la volontà di riconfermarci nella fede e soprattutto nella speranza, in un territorio martoriato dal terremoto, dove al terremoto strutturale si è affiancato un territorio dell’animo e, coas ancora più grave, delle promesse mancate.

Per la seconda volta in pochi mesi, dopo Loreto Papa Francesco torna in una zona colpita dal terremoto che tre anni fa ha devastato il Centro Italia. Perché ha scelto proprio Camerino?
Per il Santo Padre, visitare la diocesi di Camerino-San Severino Marche è come visitare tutti i territori provati dal terremoto. Quel giorno Camerino rappresenterà tutti i territori martoriati in questo momento, anche se materialmente il successore di Pietro sarà qui.

Che tipo di “popolo” si troverà davanti, quasi tre anni dopo il sisma?
Un popolo che ha sofferto molto, che si è aggrappato alla propria famiglia, che nonostante la prova è un popolo forte, combattivo, di grandi lavoratori. E che ha un grosso desiderio del cuore: poter vedere rinascere quello che ha perso.

Si tratta di un obiettivo realistico da raggiungere, secondo lei?
Dipende da quello che farà ognuno di noi. Se la Chiesa, le istituzioni, la società civile, ciascuno per ciò che gli compete, faranno quello che devono fare, niente è impossibile.

Si rinasce se si lavora insieme.

La visita del Papa arriva dopo l’incontro del premier Conte con i vescovi delle zone terremotate, in occasione del quale sono stati stanziati 800 milioni di euro per 600 chiese. È un segnale di speranza?
La ricostruzione è un fenomeno molto complesso. Ci troviamo di fronte ad una burocrazia che non aiuta, nello snellimento delle pratiche e delle procedure, e questo purtroppo blocca molto l’intero processo. Ci aspettiamo maggiore attenzione alla burocrazia, che non può arrivare al punto  di “burocratizzare” la vita delle persone.

Il 16 giugno Francesco comincerà dalle “casette” ed entrerà in alcune di esse. Sarà un’occasione per ascoltare anche la voce del disagio e della stanchezza della gente?
Io sono qui soltanto da otto mesi, ma ho potuto constatare come il disagio di chi vive su questo territorio , in questi tre anni, abbia portato ad un notevole aumento degli ansiolitici e degli antidepressivi. Ci sono stati casi di suicidio e di suicidi indiretti, quelli degli anziani che si lasciano morire. Una di loro, ad esempio, che non è di Camerino mi ha raccontato: “Ho perso la mia casa e tutto quello che c’era dentro. Sono andata alle Sae (Strutture abitative emergenziali) e poco dopo sono dovuta uscire di nuovo per il problema elle muffe. Il terzo trasloco lo farò al cimitero”. Alle Sae non sono previsti centri di aggregazione, e tutto questo provoca isolamento e quindi solitudine. Qui le casette le chiamano “eterne”…

Cosa chiede la gente al suo vescovo, per la ricostruzione?
Il sogno più grande, che alberga nel cuore di tutti, dal bambino all’anziano, è quello di ritornare nelle loro case, che significa ritrovare le proprie radici.

Anche la ricostruzione delle chiese ha un ruolo importante: grazie a fondi privati, ad esempio, a metà dicembre riapriremo la basilica di San Venanzio, il nostro santo patrono. Le chiese, infatti, non hanno un valore soltanto religioso o artistico, ma sono un luogo fondamentale di aggregazione e quindi di grande socializzazione, di incontro e di relazione con l’altro.

Quali “frutti” si augura per la visita del Papa?
Che ci confermi nella fede; che ci dia parole di coraggio e di conforto, che aiuti la comunità e il territorio a rivedere la luce che le macerie hanno provato a seppellire. Da quelle macerie, come Cristo Risorto, rinascerà anche questa comunità.

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