COLONNELLA – Anche il territorio della nostra Diocesi è stato toccato dal fallimento della Shernon Holding: società che controlla il marchio Mercatone Uno. Una situazione che ha fatto sprofondare nell’incertezza quasi 2.000 dipendenti in tutta Italia, compresi quelli della sede locale, di Contrada Isola, a Colonnella. Su questa scottante questione, abbiamo ascoltato le riflessioni di Franco Veccia, direttore dell’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro.
In alcune risposte Veccia ha ripreso il documento scritto dai Vescovi italiani “Il capitale umano al servizio del lavoro”
La crisi del Mercatone Uno ha fatto scattare la mobilitazione tra i sindacati, ma finora tutto sembra sospeso…
«Condivido le preoccupazioni e dichiarazioni dei sindacati. “Il fallimento sembra aver reso nulli i sacrifici e gettato le maestranze in uno stato di profonda angoscia”, hanno sottolineato in una nota congiunta Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs. Per la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, la chiusura è un fatto grave ed inquietante, perché non si può scaricare su migliaia di lavoratori e sulle loro famiglie una gestione aziendale a dir poco scandalosa. Il Governo ha il dovere di intervenire per tutelare l’occupazione e la dignità dei lavoratori”. La politica è chiamata a dare “una risposta seria” a livello legislativo nazionale ed internazionale per uscire da incertezze dell’attuale momento di crisi del lavoro».
Questa crisi può essere presa come esempio, negativo, di un mondo del lavoro che è stato travolto nel corso degli ultimi decenni?
«Siamo purtroppo lontani in molti casi da quel traguardo e da quell’orizzonte, che vede nel lavoro un’opportunità per affermare la dignità della persona e la sua capacità di collaborare all’opera creativa di Dio. Viviamo in un sistema economico che ha dimostrato capacità eccezionali nel creare valore economico a livello globale, nel promuovere innovazione e progresso scientifico e nell’offrire ai consumatori una gamma sempre più vasta di beni di qualità. Il rovescio di questa medaglia sta nella difficoltà di promuovere un’equa distribuzione delle risorse, di favorire l’inclusione di chi viene “scartato”, di tutelare l’ambiente e difendere il lavoro. In questo contesto la sfida più formidabile, soprattutto nei paesi ad alto reddito dove i lavoratori avevano conquistato con dolore e fatica traguardi importanti, è proprio quella della tutela e della dignità del lavoro. Dignità che è essenziale per il senso e la fioritura della vita umana e la sua capacità di investire in relazioni e nel futuro».
La vertenza Mercatone Uno s’inserisce in un quadro già di per sé complesso…
«La situazione è resa particolarmente difficile perché richiede la capacità di adattarsi e di rispondere a due trasformazioni epocali: quella della globalizzazione e della quarta rivoluzione industriale. La prima interpella il lavoro offrendo alle imprese opportunità di delocalizzare da paesi ad alto reddito e con alti costi del lavoro per andare a cercare le medesime qualifiche e competenze in paesi poveri o emergenti dove quel lavoro costa molto meno. In questo modo, mentre opportunità nei paesi poveri ed emergenti aumentano, si rischia allo stesso tempo di innescare una corsa competitiva verso il basso di cui a fare le spese è proprio la dignità del lavoro. La seconda sfida, quella della nuova rivoluzione industriale, è una grande trasformazione del modo di fare impresa che rende obsoleti alcuni tipi di mansioni. Il lavoro del futuro, per essere libero, creativo, partecipativo e solidale dovrà saper vincere queste sfide. Che, come accaduto anche per le precedenti rivoluzioni industriali, chiudono delle vie del passato ma aprono al contempo nuovi sentieri».
Una persona credente come può porsi dinanzi a certe dinamiche?
«Come persone credenti non dobbiamo mai perdere la speranza e la capacità di leggere le opportunità del nuovo che avanza assieme alle sfide e agli ostacoli che ci pone. Non è più una questione di sfruttamento dei lavoratori del Sud del mondo, ma anche quanti abitano alla porta accanto possono essere stritolati dagli ingranaggi di questo meccanismo, di questa “economia che uccide” come viene definita da Papa Francesco, che vede da una parte sfruttamento (è di pochi mesi fa la protesta dei fattorini che consegnano le pizze a domicilio), dall’altra concorrenza sleale dei grandi verso i piccoli. “Elusione, che vuol dire che la grande azienda multinazionale paga 10 e la piccola 30. C’è, qui, un problema di difesa dell’economia italiana, che per il 94% è costituita da piccole imprese e artigiani”».
Come fare?
Prendendo spunto dall’economista Becchetti: «Premiando il “buon” lavoro, le aziende che adottano comportamenti corretti e sostenibili nei confronti dei dipendenti, del mercato e anche dell’ambiente. Un “corporate advisor, una sorta di tripadvisor del sociale e dell’ambiente, per dare al consumatore la possibilità di capire cosa c’è dietro ogni filiera”. E scegliere consapevolmente, ristabilendo un’equità tra piccoli e grandi. Oggi “in molti settori economici si può produrre molto valore con poco lavoro”. Ma in gioco non c’è un risparmio economico, bensì la tenuta di una società e la dignità umana di tanti che rischiano di finire stritolati ai margini. E che magari incontriamo già sul pianerottolo di casa».
Come si può uscire dallo stallo della crisi Mercatone Uno e di altre crisi simili?
«Appare del tutto evidente, da questo punto di vista, l’importanza di costruire politiche che favoriscano l’investimento in due direzioni principali. Da una parte la formazione, l’istruzione e le competenze che saranno sempre più importanti per favorire la riqualificazione del lavoro ed andare ad occupare i tanti spazi aperti dalle nuove potenzialità create. Dall’altra l’”umanità” diventerà una delle chiavi di successo principali dei mondi del lavoro futuri, perché l’arte della collaborazione (fatta di fiducia, cura interpersonale, reciprocità, prossimità), i servizi alla persona e le relazioni saranno sempre più qualificanti e decisive. La capacità di fare squadra, producendo capitale sociale, sarà una delle chiavi del successo professionale ed assieme della fioritura umana e spirituale della vita. La sfida affascinante della vita del Paese (e quella su cui ci giochiamo il futuro del lavoro) può essere vinta solo superando la carestia di speranza, puntando su fiducia, accoglienza ed innovazione e non chiudendosi nella sterilità della paura e nel conflitto, come ci hanno testimoniato le diverse aziende che abbiamo avuto modo di visitare nella nostra Diocesi».
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