Incrementare il Motu Propriu del Papa sulla questione degli abusi; dare spazio ai laici nelle commissioni che si trovano a giudicare le inadempienze dei vescovi sui casi e migliorare la Carta sulla protezione dei minori e dei giovani soprattutto a livello diocesano. Sono i temi che si sono imposti nell’agenda della prima giornata della Conferenza dei vescovi statunitensi a Baltimora. L’appuntamento è stato aperto da un messaggio del nunzio Christophe Pierre che essendo a Roma per un incontro con Papa Francesco ha incaricato un suo rappresentante di approfondire le ragioni che hanno spinto il Vaticano a chiedere, durante l’assemblea della Conferenza episcopale dello scorso novembre, di “posporre le votazioni su quelle norme e quei protocolli sulla protezione dei minori fino al Summit di febbraio”. Una richiesta che ha suscitato “alcune espressioni di dissenso”, ha dichiarato il nunzio senza mezzi termini, spiegando che le “ragioni del Santo Padre sono legate alla necessità che tutta la Chiesa cammini insieme”. Sgombrato il campo da una zavorra che non pochi si portano dietro dall’ultimo incontro di novembre, Pierre ha continuato specificando che “non possono essere i social media, la pressione delle autorità civili o dei membri del nostro gregge” a dettare i tempi di una decisione della Chiesa.
“E se conflitti o opinioni diverse emergono, serve non perdere di vista l’unità che condividiamo” ha precisato mons. Pierre, invitando i vescovi alla responsabilità di governo delle diocesi affidate soprattutto sul tema degli abusi perché spetta a loro “vegliare sul gregge ed esserne guida”.
Andare avanti nel prevenire, guarire e denunciare gli abusi è stato il tema centrale del dibattito di ieri animato dalla relazione del presidente del Consiglio nazionale di revisione per la protezione dei miniori, Francesco Cesareo, che ha chiesto un maggiore coinvolgimento dei laici nell’indagare accuse di abuso da parte dei vescovi o al contrario di valutarne la loro inefficace azione. Cesareo ha raccomandato la revisione esplicita della carta sulla protezione (Carta di Dallas) in modo da “includere esplicitamente i vescovi e la richiesta di una loro maggiore responsabilità” e ha incoraggiato l’implementazione del Motu Propriu di Francesco nella parte che riguarda le chiese locali a cui è lasciata la definizione di una politica comune. I vescovi americani, nell’ultimo giorno dell’assemblea, voteranno un documento dal titolo “Riconoscere i nostri impegni episcopali”. In quelle pagine i vescovi giurano di essere responsabili degli impegni della Carta di Dallas, compresa una politica di tolleranza zero per gli abusi, includendo la norma che qualsiasi codice di condotta del clero venga varato nelle rispettive diocesi, esso deve essere applicabile ai vescovi. Il card. Joseph Tobin, presidente della Commissione episcopale per il clero, la vita consacrata e le vocazioni, ha presentato alla revisione dei confratelli il documento e i punti in cui si esplicita la responsabilità dei vescovi e che la Carta di Dallas come altri documenti diocesani non li escludono dalle indagini. In questi punti, le vittime continuano a essere la priorità e la novità è rappresentata dall’articolo 10 che recita:
“Ci impegniamo anche ad includere, nelle valutazioni, il consiglio di uomini e donne laici, i cui background professionali sono indispensabili” alla Chiesa.
Purtroppo secondo Cesareo, il Motu Propriu non contiene indicazioni specifiche sul ruolo dei laici quando a essere accusato è un vescovo, ma allo stesso tempo non limita i vescovi statunitensi nello stabilire norme che tengano conto della laicità “per mantenere alti i principi di trasparenza, responsabilità e indipendenza”. Sull’assemblea di Baltimora pesa come un macigno il caso del vescovo Michael Bransfield di Wheeling-Charleston, in West Virginia, che un’indagine del Vaticano ha dichiarato colpevole di una moltitudine di scorrettezze finanziarie e sessuali (le accuse a riguardo risalgono agli anni ‘70 ma sono emerse nel 2012).
L’arcivescovo William Lori di Baltimora, nominato amministratore apostolico della diocesi, sovrintende alle indagini su Bransfield che lo scorso settembre si è dimesso. “Alcuni vescovi hanno fallito nel mantenere le promesse (fatte durante la loro ordinazione episcopale) e hanno commesso atti di abuso o hanno manifestato una cattiva condotta sessuale – ha spiegato il vescovo Lori -. Altri hanno fallito non rispondendo moralmente, pastoralmente ed efficacemente alle accuse di abuso o cattiva condotta perpetrati da altri vescovi, sacerdoti e diaconi. Sono questi insuccessi ad aver lasciato i fedeli indignati, inorriditi e scoraggiati”. Tuttavia
sono migliaia i cattolici che continuano a servire la Chiesa nelle scuole, nelle parrocchie, negli ospedali, nelle attività caritative, ha ricordato il nunzio a conclusione del suo discorso, a prova che “la Chiesa è viva e non bisogna temere”.
Intanto, fuori dall’hotel dove si svolge l’assemblea, solo dieci persone protestavano contro le misure che i vescovi adotteranno: numeri ben diversi da quelli della scorsa assemblea, a prova che qualcosa si è mosso e che il lavoro nelle diocesi a favore delle vittime non ha lasciato indifferenti.