Le parole che Francesco affida al messaggio per la III Giornata Mondiale dei poveri vorrei non averle lette. Non si possono dimenticare. Non si possono eludere.
Nel senso che devono diventare quello che sono: è noto che parola, quando venga intesa in senso evangelico, significa fatto, fatto concreto, come esprime chiaramente l’ebraico davar.
Non si può quindi rispondere solo con una lettura, magari anche attenta e partecipe. Deve scattare un quid diverso. Un mutamento, una svolta di mentalità che non lascia il povero, ogni povero, nel suo… brodo e lo soccorre con quanto, in realtà, rappresenta lo scarto del superfluo del proprio quotidiano.
La conseguenza perciò o si innesta nel profondo e trova la sua realizzazione concreta oppure diventa una farsa deleteria.
Una conseguenza che sappia tessere rapporti con le persone, che sappia vincere nel proprio microcosmo la sperequazione fra classi sociali che sfacciatamente esibiscono ricchezze e poveri che non riescono a dormire sotto un tetto o a sfamarsi.
Colpevolizzarsi è inutile? In questo caso è doveroso. Bisogna cercare di sbaragliare delle sovrastrutture che incombono e impediscono di intervenire.
Jean Vanier lo ha fatto. Perché noi, ognuno a proprio modo, non potrebbe farlo? O non dovrebbe farlo?
Le realizzazioni concrete sono preziose, salvano le vite dal degrado, danno loro quel poco che consente di superare la giornata. È necessario però scendere più profondamente e scavare più a fondo nell’animo umano: dovremmo vergognarci di schiavizzare, in tanti modi, le persone. Abbiamo tutti e tutte un Padre comune, l’Unico che ci ha creati.
Come raggiungere quello zoccolo duro? Francesco, per chi crede, impugna l’unica arma che non uccide ma conduce a salvezza: la forza salvifica.
Sembra una contraddizione palese: proprio nel povero, nel misero che non ha niente trovare non una forza ma la forza? Si passa dall’avere all’essere.
La radice si trova nella stessa Parola di Dio:
Non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio (1 Cor 1,26-29).
Inserirsi quindi in quest’ottica significa approdare là dove si può attingere, là dove si può sostare per guardare con occhi nuovi e procedere con mani operose.
Occhi certamente immersi in un bagno fecondo:
Con gli occhi umani non si riesce a vedere questa forza salvifica; con gli occhi della fede, invece, la si vede all’opera e la si sperimenta in prima persona. Nel cuore del Popolo di Dio in cammino pulsa questa forza salvifica che non esclude nessuno e tutti coinvolge in un reale pellegrinaggio di conversione per riconoscere i poveri e amarli.
La controprova è possibile, immediatamente possibile: chi escludo dalla mia vita? Chi non ascolto? Mi rendo conto che così facendo io stessa mi escludo dal Cuore di Dio?
Certo. Vorrei non averle lette queste parole perché mi inquietano ma forse mi tolgono di dosso quella polvere borghese che si stenta a confessare anche a se stessi.
Se ascolto e dimoro nel Cuore di Dio seminerò segni tangibili di speranza, minuscoli ma fecondi, non mi rinchiuderò in un egoismo saccente e imparerò a camminare “in un reale pellegrinaggio di conversione per riconoscere i poveri e amarli”.
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