“Il nunzio cessa di essere ‘uomo di Chiesa’ quando inizia a trattare male i suoi collaboratori, il personale, le suore e la comunità della nunziatura come un cattivo padrone e non come padre e pastore”, il monito di Francesco, secondo il quale “è triste vedere taluni nunzi che affliggono i loro collaboratori con gli stessi dispiaceri che loro stessi hanno ricevuto da altri nunzi quando erano collaboratori. Invece i segretari e i consiglieri sono stati affidati all’esperienza del nunzio perché possano formarsi e fiorire come diplomatici e, se Dio vuole, in futuro come nunzi”. “Essere uomo di Chiesa richiede anche l’umiltà di rappresentare il volto, gli insegnamenti e le posizioni della Chiesa, cioè mettere da parte le convinzioni personali”, l’indicazione del Papa: “Essere uomo di Chiesa vuol dire difendere coraggiosamente la Chiesa dinanzi alle forze del male che cercano sempre di screditarla, di diffamarla o di calunniarla”. E ancora: “Essere uomo di Chiesa richiede di essere amico dei vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi e dei fedeli, con confidenza e calore umano, svolgendo al loro fianco la propria missione e avendo sempre uno sguardo ecclesiale, cioè di un uomo che si sente responsabile della salvezza degli altri”.
La “salus animarum” (salvezza delle anime) è la “legge suprema della Chiesa ed è la base di ogni azione ecclesiale”, ricorda il Santo Padre: “Questa identità del nunzio lo porta anche a distinguersi dagli altri ambasciatori nelle grandi feste, Natale e Pasqua: quando quelli si assentano per raggiungere le famiglie, il nunzio rimane in sede per celebrare la festa col popolo di Dio del Paese perché, essendo uomo di Chiesa, questa è la sua famiglia”.