Giacomo Morandi
Quando mi è stato chiesto di curare la prefazione alle Omelie di Papa Francesco, non pensavo fosse un compito così “pericoloso” e anche per certi aspetti così “inquietante”.
I temi affrontati dal Santo Padre sono, infatti, così aderenti alla vita, così concreti, per usare un’espressione a Lui cara, da imporre, anche al più refrattario peccatore, un serio esame di coscienza sull’autenticità della propria sequela di Gesù e sulle conseguenze che tale sequela comporta per le grandi scelte della vita e anche per quelle di cui è piena la nostra ferialità e quotidianità.
Esame di coscienza può essere il filo conduttore di queste omelie pronunciate in un tempo particolarmente turbolento della vita della Chiesa. Turbolenze affrontate con la serietà e la gravità che il momento comporta e al tempo stesso con uno sguardo sempre aperto alla speranza e orientato ad affrontare la crisi come un evento di purificazione e di rinnovamento della vita della Chiesa. […]
L’esame di coscienza che il Papa più volte raccomanda in queste omelie, vuole risvegliare la consapevolezza che il cristiano deve affrontare ogni giorno un combattimento spirituale e che il campo di battaglia è sempre il suo cuore che può lasciarsi guidare e plasmare dalla Parola di Dio, oppure può cedere alle lusinghe del demonio, più volte evocato dal Papa come origine di quel potere distruttivo delle relazioni, specialmente all’interno della comunità cristiana e delle stesse comunità religiose.
È un esame di coscienza per i Pastori del popolo di Dio, i Vescovi! A più riprese il Santo Padre si rivolge a loro, consapevole dell’importanza decisiva del loro servizio e ministero per la vita della Chiesa. Il Vescovo non deve dimenticare di essere stato gratuitamente scelto dal basso, deve coltivare la memoria di quella chiamata senza orgoglio e alterigia, essere immerso nella preghiera e nella vita della gente che gli è affidata, rivelando la tenerezza di Dio Padre, con la sua umiltà e mitezza. L’insidia a cui nemmeno il Vescovo è sottratto è quella, infatti, della mondanità, in cui il ministero si trasforma in un “affare”, dimenticando che egli è stato costituito come “amministratore di Dio” e non come un “affarista”. Il Vescovo, ricorda il Papa, “conta davanti a Dio non se è simpatico, se predica bene, ma se è umile, se è mite, se è servitore con tutte queste virtù”.
È un esame di coscienza per la vita delle nostre comunità cristiane che possono sprofondare in quell’indifferenza e apatia che sono la negazione stessa della vita cristiana, che al contrario è prossimità e coinvolgimento reale e concreto nell’esistenza di coloro che sono considerati “scarto” della nostra società. L’impegno di ogni credente è, infatti, contrastare quella cultura dell’indifferenza che all’inizio aveva contaminato gli stessi discepoli: “Ai discepoli non interessava la gente: interessava Gesù, perché gli volevano bene e non erano cattivi: erano indifferenti non sapevano che cosa fosse amare, non sapevano cosa fosse compassione, non sapevano cosa fosse l’indifferenza… L’opposto più quotidiano all’amore di Dio, alla compassione di Dio è l’indifferenza”. Queste riflessioni interpellano con forza la qualità delle nostre relazioni ecclesiali, anche in rapporto alle tante urgenze che quotidianamente bussano alle porte delle nostre Chiese. […]
Infine è un esame di coscienza su come noi affrontiamo la difesa di quella Verità che ci è stata consegnata e di cui siamo debitori nei confronti di quel mondo che, spesso, rifiuta e non vuole vedere la Verità. In questa luce mi sembrano eloquenti due riflessioni del Santo Padre sul silenzio. La prima, quando commentando l’inizio del ministero pubblico di Gesù nella sinagoga di Nazareth secondo il vangelo di Luca, il Papa ci ricorda che dinanzi all’ostilità dei suoi compaesani che volevano gettarlo giù dal monte, Gesù se ne va in silenzio. Il silenzio è la risposta a questo indurimento del cuore: “Con le persone che non hanno buona volontà, con le persone che cercano soltanto lo scandalo, che cercano soltanto la divisione, che cercano soltanto la distruzione, anche delle famiglie: silenzio e preghiera”.
La seconda, invece, riguarda San Giuseppe, l’uomo del silenzio che ha saputo accompagnare e far crescere. Giuseppe abbracciò nel silenzio il progetto di Dio. Con la sua capacità di sognare in modo reale senza diventare un “sognatore fantasioso”, Giuseppe può essere un riferimento per ogni cristiano: “Portiamo con noi questa figura di San Giuseppe: l’uomo che accompagna nel silenzio e l’uomo che sa sognare nel modo giusto”.
Con questa immagine di Giuseppe uomo del silenzio e del giusto sognare, auguro una buona lettura e meditazione di queste riflessioni pericolose del Santo Padre Francesco, con l’auspicio che possano inquietare anche voi almeno tanto quanto hanno inquietato me!