Giovanna Pasqualin Traversa
Per rientrare negli standard di sicurezza internazionali, ogni infermiere dovrebbe seguire 4 pazienti, mentre la media negli ospedali pediatrici del nostro Paese è di un infermiere ogni 6,6 pazienti; in pratica ogni infermiere segue 2,6 pazienti in più di quanto dovrebbe. Su 13 funzioni assistenziali giudicate necessarie sono state in media 5 quelle che ciascun professionista dichiara di aver dovuto tralasciare per mancanza di tempo nell’ultimo turno. A rivelarlo è uno studio sull’impatto dell’assistenza infermieristica sulla qualità delle cure in pediatria realizzato dall’ Aopi, l’Associazione di 12 ospedali pediatrici italiani aderente alla Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie pubbliche), presentato questo pomeriggio al Senato.
Secondo la Fnopi (Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche), per ogni piccolo paziente in più, il rischio di mortalità a 30 giorni aumenta del 7%. Un dato che si traduce, con 2,5 pazienti in più, in un aumento del rischio di circa il 17-18%. Sommando a questo le attività infermieristiche mancate,
il rischio di mortalità per i piccoli pazienti può toccare il 25-26%,
avverte la presidente Barbara Mangiacavalli, definendolo “inaccettabile”. L’indagine, realizzata dai ricercatori del Gruppo di studio italiano RN4CAST@IT-Ped attraverso una survey che ha coinvolto infermieri e care giver, specifica che il rapporto pazienti-infermiere dovrebbe essere di 3 o 4 a 1 nelle aree chirurgica e medica, di 1 o persino 0,5 per le aree critiche come terapie intensive e rianimazioni. Numeri lontani dalla realtà rilevata dall’indagine. Per Mangiacavalli,
i rischi si sono finora scongiurati“grazie alla buona volontà dei professionisti e alla capacità del management delle aziende”
ma il livello di allarme è alto e se ne deve tenere conto al momento della scelta delle politiche di programmazione. “Oggi – avverte la presidente della Federazione – abbiamo una carenza di infermieri in costante aumento. Senza contare ‘Quota 100’ al tavolo del fabbisogno dei posti per i corsi di laurea, dove la Fnopi è presente con il ministero della Salute e le Regioni, la Federazione ha evidenziato che rispetto alla domanda dei cittadini
ci sono circa 30 mila infermieri in meno che diventeranno 58 mila in meno nel 2023; circa 71 mila nel 2028 e quasi 90 mila nel 2033”.
Nei 12 ospedali pediatrici aderenti all’Aopi, rivela ancora lo studio, il 32% degli infermieri si dice a rischio “burnout”; tuttavia si ritiene soddisfatto del proprio lavoro il 73,5% degli infermieri dell’area chirurgica e, rispettivamente, il 74 e il 77,1% di quelle medica e critica. Peccato che a causa della carenza di personale, questi operatori debbano svolgere anche attività che nulla hanno a che fare con la professione: reperire materiali e dispositivi, compilare moduli per servizi non infermieristici, svolgere attività burocratiche e rispondere al telefono.
Ottima la capacità di comunicazione e relazione tra care giver (familiari dei piccoli pazienti) e infermieri e personale medico. Il 62,8% dei care giver ha affermato che gli infermieri hanno sempre prestato ascolto con attenzione; il 59,7% che hanno sempre spiegato le cose in modo comprensibile; il 73,8% che hanno sempre mostrato cortesia e rispetto. Particolarmente apprezzata la preparazione al ritorno a casa.
Per Paolo Petralia, presidente Aopi e Dg dell’Irccs “Gaslini” di Genova che ha partecipato allo studio, “una buona organizzazione aziendale può sopperire in buona parte alle carenze di personale e permettere di garantire comunque una buona qualità delle cure e la messa in sicurezza dei pazienti”. “Senza il contributo fondamentale dei professionisti e di un management all’altezza il nostro Ssn sarebbe già naufragato da un pezzo”, rilancia il presidente di Fiaso, Francesco Ripa di Meana. “Abbiamo fatto un miracolo operando tra ristrettezze economiche e di personale. Ora – conclude – occorre cambiare passo, dando priorità a
un grande piano per le assunzioni e per l’ammodernamento tecnologico delle strutture”.