La peggiore crisi umanitaria del XXI secolo. Un conflitto che diventa sempre più violento, con migliaia di vittime tra i bambini. Secondo studi dell’Università di Denver, se la guerra nello Yemen non sarà fermata, nel 2022 si potrebbe arrivare a 500.000 morti, tra cui oltre 300.000 a causa della fame e della mancanza di cure mediche. E’ l’ennesimo grido d’allarme quello lanciato il 17 giugno, davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, da Mark Lowcock, sottosegretario Onu per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza in Yemen. Come ogni mese Lowcock ha presentato il suo resoconto al Consiglio di sicurezza. E come ogni mese è costretto ad implorare un’azione concreta per riportare la pace nel Paese, giunto oramai al quarto anno di conflitto. E a chiedere risorse economiche per garantire gli aiuti umanitari necessari. Le cifre di questa guerra dimenticata sono sempre più impressionanti, al punto da suonare incredibili: 70.000 morti dal 2016, 24 milioni di persone (ossia l’80% della popolazione) bisognosa di assistenza e protezione. Tra questi, oltre 10 milioni non riescono a sopravvivere senza aiuti alimentari d’emergenza. Gli sfollati sono 3 milioni e 300 mila. Lo scorso anno più di 100 ospedali e scuole sono stati colpiti da azioni di guerra (bombardamenti aerei, granate, mortai). 600 attacchi al mese riguardano strutture civili. Ci sono 30 fronti di guerra aperti, dove combattono le parti in conflitto: gli insorti huthi, fedeli a all’ex presidente Ali Abdullah Saleh che hanno formato l’organizzazione armata Anṣār Allāh, e la coalizione a guida saudita che appoggia le forze leali al governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi, fuggito ad Aden nel 2015. Il 13 dicembre scorso è stato firmato a Stoccolma un accordo che prevedeva il cessate il fuoco ma i combattimenti sono subito ripresi a Hodeida.
“Lo Yemen sta diventando sempre più violento e il conflitto peggiora, anziché migliorare”,
denuncia Lowcock: “I combattimenti hanno costretto quest’anno 250.000 persone a lasciare le proprie case. Le uccisioni e i ferimenti dei bambini sono più che triplicati dagli ultimi 4 mesi del 2018 e i primi 4 del 2019. In questi ultimi giorni abbiamo visto un pericoloso e riprovevole aumento di attacchi sull’Arabia Saudita, e bombardamenti aerei su Sana’a e altre zone”. Oggi la maggior parte degli yemeniti vive in aree controllate dai ribelli huthi e dai loro alleati. “Dopo decine di migliaia di bombardamenti aerei, colpi di mortaio e scontri in prima linea la situazione è cambiata solo marginalmente dal 2016. La guerra non solo è brutale, ma nessuno vince. Sono tutti d’accordo su questo, almeno nelle dichiarazioni pubbliche. Eppure la guerra continua”.
epidemia di colera con 364.000 casi sospetti e 639 morti dall’inizio del 2019.
Fortunatamente gli interventi sanitari delle organizzazioni internazionali hanno contribuito alla diminuzione di nuovi casi. Senza contare che giorni fa 80.000 persone sono state colpite da piogge torrenziali e alluvioni. Le già misure tende e baracche dove vivevano sono state distrutte, e l’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha dovuto provvedere a ripari d’emergenza e forniture di materiali per riparare le case danneggiate.
Su 4,4 miliardi di dollari necessari ricevuti solo il 27%. Il funzionario Onu non si stanca di ripetere i suoi continui appelli, e di richiamare la comunità internazionale alle proprie responsabilità: “Quest’anno abbiamo bisogno di 4,2 miliardi di dollari ma ne abbiamo ricevuti solo 1,15 (il 27%)”. La Conferenza internazionale dei donatori a Ginevra, lo scorso mese di febbraio, si era impegnata per 2,6 miliardi di dollari. Soldi che non sono ancora arrivati, a distanza di quattro mesi. Lowcock elenca altre quattro priorità, oltre a quella degli
aiuti umanitari: cessate il fuoco immediato, facilitare l’ingresso di aiuti umanitari bloccati da impedimenti burocratici, attuare misure per sostenere l’economia yemenita afflitta da una incessante svalutazione e impegnarsi per “progressi significativi verso la pace”.
“L’accordo di Stoccolma è stato un passo cruciale nella giusta direzione – osserva -. Ma rischiamo di perdere quel momento”. “Nulla cambierà in Yemen – conclude – finché ciascuno non sarà pronto a fare le cose in maniera diversa. Questi sono i passaggi da cui partire. Altrimenti non potremo aspettarci che più combattimenti, più morti, più distruzione, più fame, più malattie, più appelli e conferenze dei donatori”.
(Foto: Unicef)