È al momento di almeno tre morti, decine di feriti e di persone arrestate il bilancio delle manifestazioni di protesta che stanno infiammando l’Honduras. A gestire direttamente la repressione sono scese in campo da giovedì scorso direttamente le forze armate, su decisione del contestatissimo presidente Juan Orlando Hernández, dopo che molti agenti di polizia, a loro volta in sciopero si erano rifiutati di intervenire. Radio Progreso, gestita dai gesuiti, e organizzazioni per i diritti umani denunciano che la repressione è stata in alcuni casi violenta e generalizzata e che anche alcuni giornalisti sono stati attaccati e intimiditi.

Le manifestazioni, in realtà si susseguono da mesi e sono salite di tono dall’inizio di giugno, in contemporanea con l’avanzare dell’iter legislativo relativo alle riforme del sistema sanitario ed educativo, destinate a privatizzare i due importanti settori e fare forti tagli di fronte alla precaria situazione economica del Paese. Fin dall’autunno del 2017 cova il malcontento popolare, in seguito alla rielezione di Hernández, ottenuta forzando la costituzione e in un contesto di poca chiarezza e accuse di brogli. La maggior parte delle manifestazioni è avvenuta nella capitale Tegucigalpa, ma le proteste e la successiva repressione hanno coinvolto anche altre città come San Pedro Sua, El Progreso e Yoro. Fonti Sir riportano che nelle giornate di sabato e di ieri è tornata un po’ di calma, ma già da oggi si annunciano nuove manifestazioni.
Amnesty International ha chiesto al Governo di garantire i diritti umani durante le proteste e a non ricorrere alla forza. La Conferenza episcopale era intervenuta con una dura nota lo scorso 6 giugno, nella quale prendeva le distanze dalle riforme scolastica e sanitaria, rivolgendo a tutti un appello per evitare la violenza.

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