“Ogni azione politica o iniziativa legislativa tesa a ‘forzare’ l’inviolabilità del sigillo sacramentale costituirebbe un’inaccettabile offesa verso la libertas Ecclesiae, che non riceve la propria legittimazione dai singoli Stati, ma da Dio”, oltre che “una violazione della libertà religiosa, giuridicamente fondante ogni altra libertà, compresa la libertà di coscienza dei singoli cittadini, sia penitenti sia confessori. Violare il sigillo equivarrebbe a violare il povero che è nel peccatore”. E’ quanto si legge nella Nota della penitenzieria apostolica diffusa oggi, in cui si ribadisce che “l’inviolabile segretezza della Confessione proviene direttamente dal diritto divino rivelato e affonda le radici nella natura stessa del sacramento, al punto da non ammettere eccezione alcuna nell’ambito ecclesiale, né, tantomeno, in quello civile”. “La difesa del sigillo sacramentale e la santità della confessione – si ricorda al tempo stesso nella Nota – non potranno mai costituire una qualche forma di connivenza col male, al contrario rappresentano l’unico vero antidoto al male che minaccia l’uomo e il mondo intero; sono la reale possibilità di abbandonarsi all’amore di Dio, di lasciarsi convertire e trasformare da questo amore, imparando a corrispondervi concretamente nella propria vita”. “In presenza di peccati che integrano fattispecie di reato – la disposizione del testo – non è mai consentito porre al penitente, come condizione per l’assoluzione, l’obbligo di costituirsi alla giustizia civile, in forza del principio naturale, recepito in ogni ordinamento, secondo il quale ‘nemo tenetur se detegere’. Al contempo, però, appartiene alla ‘struttura’ stessa del sacramento della Riconciliazione, quale condizione per la sua validità, il sincero pentimento, insieme al fermo proposito di emendarsi e di non reiterare il male commesso”. “Qualora si presenti un penitente che sia stato vittima del male altrui – si dispone nella Nota – sarà premura del confessore istruirlo riguardo ai suoi diritti, nonché circa i concreti strumenti giuridici cui ricorrere per denunciare il fatto in foro civile e/o ecclesiastico e invocarne la giustizia”.  È il Papa stesso, si ricorda nella Nota, che recentemente, parlando del sacramento della riconciliazione, “ha voluto ribadire l’indispensabilità e l’indisponibilità del sigillo sacramentale”, sul quale “nessun potere umano ha giurisdizione, né può rivendicarla”.

“Ogni sacerdote che ascolta le confessioni è obbligato, sotto pene molto severe, a mantenere un segreto assoluto riguardo ai peccati che i suoi penitenti gli hanno confessato”, si legge nel Catechismo della Chiesa cattolica: secondo le norme canoniche, inoltre, al confessore non è consentito, mai e per nessuna ragione, “tradire il penitente con parole o in qualunque altro modo”, così come “è affatto proibito al confessore far uso delle conoscenze acquisite dalla confessione con aggravio del penitente, anche escluso qualunque pericolo di rivelazione”. Il contenuto del sigillo sacramentale, inoltre, comprende “tutti i peccati sia del penitente che di altri conosciuti dalla confessione del penitente, sia mortali che veniali, sia occulti sia pubblici, in quanto manifestati in ordine all’assoluzione e quindi conosciuti dal confessore in forza della scienza sacramentale”. Il sigillo sacramentale, perciò, “riguarda tutto ciò che il penitente abbia accusato, anche nel caso in cui il confessore non dovesse concedere l’assoluzione: qualora la confessione fosse invalida o per qualche ragione l’assoluzione non venisse data, comunque il sigillo deve essere mantenuto”. Al segreto derivante dal sigillo è tenuto anche “chi, in qualunque modo, sia venuto a conoscenza dei peccati della confessione”. Il divieto assoluto imposto dal sigillo sacramentale è tale da “impedire al sacerdote di fare parola del contenuto della confessione con lo stesso penitente, fuori del sacramento, salvo esplicito, e tanto meglio se non richiesto, consenso da parte del penitente”. Il sigillo esula, perciò, anche dalla disponibilità del penitente, il quale, una volta celebrato il sacramento, “non ha il potere di sollevare il confessore dall’obbligo della segretezza, perché questo dovere viene direttamente da Dio”.

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