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Crollo nascite: fenomeno inarrestabile?

Giovanna Pasqualin Traversa

Difficoltà economiche? Anche, ma soprattutto individualismo, edonismo e paura del futuro. Carla Collicelli, sociologa di lungo corso che da decenni si occupa di educazione e di sociale in Italia e in Europa, non ha dubbi e identifica in questi fattori le cause del progressivo calo delle nascite nel nostro Paese. Secondo i dati diffusi oggi dall’ Istat nel “Bilancio demografico nazionale”, prosegue nel 2018 il calo della popolazione residente in Italia, già riscontrato nel precedente triennio: al 31 dicembre vi risiedevano 60.359.546 persone, 124.427 in meno rispetto all’anno precedente. Confermato anche il continuo calo delle nascite in atto dal 2008. Già a partire dal 2015 il loro numero era sceso sotto il mezzo milione e nel 2018 si è registrato un nuovo record negativo: i bambini iscritti in anagrafe per nascita sono stati solo 439.747, il minimo storico dall’Unità d’Italia. Rispetto al 2017, si è registrata una diminuzione di oltre 18mila unità (-4,0%). Secondo la sociologa, per invertire la rotta non bastano misure di sostegno alle famiglie: occorre soprattutto un lungo processo di educazione e di rilancio dei valori che devono animare la vita individuale e sociale.

Professoressa, quali sono i fattori che hanno causato questo progressivo svuotamento delle culle?
I dati Istat confermano un trend che in qualche caso aveva conosciuto delle battute d’arresto ma è ormai una tendenza di lungo periodo. Il calo della natalità è il prodotto di un insieme di motivi. Incidono sicuramente i problemi economici delle famiglie con figli – l’Istat ci dice che la povertà è molto diffusa soprattutto tra le coppie con bambini piccoli – ma da soli non sono sufficienti a spiegare l’intero fenomeno. La seconda causa molto importante, che noi come sociologi della famiglia abbiamo più volte sottolineato, è

l’individualismo imperante, l’edonismo che continua a crescere nel vissuto delle persone,

nel senso che si antepone la soddisfazione dei bisogni individuali ad altri valori come quello della generatività, della procreazione delle nuove generazioni per il futuro. Un terzo fattore molto evidente, soprattutto in questi ultimi anni, è

la paura del futuro;

tema sempre stato presente ma che ha visto un’escalation molto forte nel periodo più recente, tanto è vero che ha dato vita anche a scelte politiche che giocano sull’insicurezza, l’ansia, le preoccupazione rispetto alla capacità di affrontare importanti questioni strutturali: paure che si riverberano in prima battuta proprio sulla serenità e la fiducia nel futuro che sono alla base della decisione di mettere al mondo dei bambini.

foto SIR/Marco Calvarese

Come invertire questa rotta?
Si parla spesso della necessità di misure economiche e di sostegno alle famiglie. Sono certamente importanti ma non sufficienti perché qui

sono in gioco questioni complesse e di profondo spessore dal punto di vista antropologico, spirituale, sociale culturale.

Non sono pertanto immaginabili soluzioni immediate, a breve termine. Si tratta di processi lunghi. Come è stato lungo il processo di soppiantamento dello spirito familiare e della voglia di procreare da parte dell’individualismo e dell’edonismo, ci vorrà moltissimo tempo per invertire la rotta.

Bisognerebbe partire dall’educazione: dal ruolo dei genitori e dell’istruzione scolastica.

Noi abbiamo assistito a un trend in base al quale l’educazione, in particolare quella scolastica, si concentra sempre più sulla trasmissione di competenze e skills per poter affrontare il mondo del lavoro e poco, sempre meno, anzi quasi per niente, sui valori che devono invece animare la vita individuale, di comunità, sociale, tra i quali anche quello di pensare alle generazioni future. L’Alleanza per lo sviluppo sostenibile ha molto insistito sul fatto che la sostenibilità va letta soprattutto rispetto al predisporre una società futura con nuove generazioni che abbiano modo di realizzare un loro equilibrio e una loro serenità sulla base di quello che noi saremo in grado di dare loro. Se noi restiamo invece centrati sul nostro interesse particolare, lavorativo o di altro tipo, tutto questo passa ovviamente in seconda linea.

Si tratta quindi di un discorso culturale..
E’ assolutamente un discorso culturale e valoriale che tocca le corde più profonde dell’umanità e può essere affrontato solo con interventi di tipo culturale, valoriale e spirituale. Una strada lunga nella quale

le forze vitali, che pure esistono nel paese, dovrebbero cercare un modo comune per intervenire: delle forme di alleanza per l’individuazione di contenuti.

Si è parlato nel periodo più recente di una maggiore attenzione nella scuola all’educazione civica. Nello stilare i programmi di questa “nuova educazione civica” questi valori dovrebbero essere inseriti ai primi posti.

Chi dovrebbe scendere in campo?
I soggetti della società civile, i soggetti associativi, il mondo degli insegnanti e delle famiglie. Realtà che esistono e hanno le carte in regola per affrontare bene questi temi, ma occorrono un livello di collaborazione adeguato e un’azione più coraggiosa nei confronti della comunicazione e dei mass media.

Quale ruolo per la Chiesa?
La Chiesa già svolge un ruolo di grande rilievo perché è rimasta forse l’unico soggetto vitale ad insistere su questi valori portanti, ma dovrebbe individuare strategie più efficaci e adeguate ai tempi attuali, trovando forme di collaborazione con il mondo della scuola e dei mass media che facciano breccia rispetto a questa muraglia di valori che vanno in tutt’altra direzione.

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