Lo scorso 2 luglio sono stati indicati i quattro nominativi per le più alte cariche dell’Unione europea, le presidenze della Commissione, del Consiglio, della Banca centrale e l’Alto rappresentante degli affari esteri. Queste nomine sono state finalmente definite poco tempo dopo le elezioni europee del 26 maggio. Portano alle responsabilità più importanti persone di alto rilievo, di grande esperienza negli affari europei e internazionali, con una fama politica e professionale assai positiva.
Due donne, due uomini – la parità di genere per la prima volta –, un equilibrio politico tra le famiglie democratiche cristiane, socialdemocratiche e liberali, tutti e quattro personaggi di convinzioni europeistiche forti:si può parlare di una squadra coerente, convinta, capace di resistere al pericolo dei nazionalisti e dei demagoghi.
Con la tedesca Ursula von der Leyden, la francese Christine Lagarde, il belga Charles Michel, lo spagnolo Josep Borrell, poi con l’elezione alla presidenza del Parlamento dell’italiano David Maria Sassoli (che conferma l’ancoraggio dell’Italia in Europa, nonostante l’“agitarsi” dei suoi dirigenti attuali), è l’Europa delle prime adesioni che guiderà l’Unione, con il rilancio del motore franco-tedesco.
I commenti della stampa sono però quasi tutti e dappertutto negativi.
Parlano di confusione, di cacofonia, di parto nel dolore, di negoziati interminabili, ecc. Impressionante l’incapacità di una grande parte dei media di analizzare un evento con lucidità, e la loro volontà di essere sistematicamente negativi.
Certamente i negoziati non sono stati facili, con una nuova configurazione del Parlamento dove la maggioranza non si limita più alla coppia Popolari- Socialdemocratici, con l’emergere dei liberali e dei verdi, e di forze sovraniste, e il peso assunto dal presidente francese, Emmanuel Macron. Con 28 membri (tra poco 27, con il Brexit), cioè 28 storie nazionali, 28 tradizioni e culture politiche, niente è facile. Occorre molto tempo per discutere, valutare le diverse soluzioni possibili, in un contesto europeo e internazionale non facile; senza dimenticare che le elezioni per il Parlamento europeo sono state segnate dalle incertezze e dalle tensioni create dal Brexit, dai discorsi anti europei dei governi cosiddetti illiberali di Paesi dell’Europa centrale, dalla difficile questione migratoria, dalle pressioni russe e americane…Ovviamente le nomine sono più semplici da fare nella Russia di Putin o nella Cina di Xi Jin Ping! Ma gli europei possono essere orgogliosi della loro democrazia e della costruzione dell’Europa unita.Robert Schuman lo diceva già nel lontano 1950: tale costruzione sarebbe stata lunga, difficoltosa, ma avrebbe portato la pace a un continente lacerato dalle guerre, e sarebbe stata una grande scuola di democrazia, dell’ascolto degli uni e degli altri, per giungere ai necessari compromessi. In questa capacità di negoziare, di discutere, di trovare punti di accordo, ci raggiungere soluzioni comuni sta la grandezza della democrazia europea.
Però nello stesso tempo, i governi non devono dimenticare le debolezze dell’Ue: l’aspirazione finora non corrisposta dei popoli a partecipare alle decisioni; tutte le nomine sono semplicemente confermate (dunque un po’ “subite”) dal Parlamento, che peraltro è lontano dai popoli; notevole è inoltre il rischio di separatezza tra Est e Ovest, con una notevole distanza sul piano economico, sociale, culturale (e non si dovrebbe mai dimenticare che l’Europa ha “due polmoni”, come ricordava Giovanni Paolo II). È vero queste ultime nomine favoriscono i Paesi fondatori occidentali, e lasciano da parte i membri più recenti, reduci dalla dittatura comunista. Bisogna assolutamente evitare l’erezione di un nuovo muro, invisibile ma reale, tra l’Europa orientale e occidentale.
I nuovi responsabili sono di fronte a vere sfide per mantenere una democrazia forte e vivace nell’Unione europea.