M.Michela Nicolais
“Preghiamo per i malati che sono abbandonati e lasciati morire. Una società è umana se tutela la vita, ogni vita, dall’inizio al suo termine naturale, senza scegliere chi è degno o meno di viere. I medici servano la vita, non la tolgano”. È il tweet lanciato oggi dal Papa, che richiama – pur senza citarlo direttamente – anche il caso di Vincent Lambert, il cittadino francese tetraplegico di 42 anni dal 2 luglio scorso è stato privato di alimentazione e idratazione, dopo una sentenza della Cassazione che ha annullato la decisione della Corte d’appello di far proseguire il trattamento, in attesa del parere del Comitato Onu per i Diritti delle persone con disabilità che aveva chiesto alla Francia sei mesi di tempo per esaminare il caso. Lo stesso giorno in cui all’ospedale di Reims è stata avviata la procedura per interrompere l’alimentazione e l’idratazione, il Papa aveva lanciato subito un appello, sempre tramite il suo account Twitter: “Preghiamo per quanti vivono in stato di grave infermità. Custodiamo sempre la vita, dono di Dio, dall’inizio alla fine naturale. Non cediamo alla cultura dello scarto”.
Il dovere di custodire la vita. Nel 2018, il Santo Padre aveva già diffuso due appelli pubblici per Vincent Lambert, accostandolo alla vicenda del piccolo Alfie Evans. Il 15 aprile, in occasione del Regina Caeli, aveva detto: “Affido alla vostra preghiera le persone, come Vincent Lambert, in Francia, il piccolo Alfie Evans, in Inghilterra, e altre in diversi Paesi, che vivono, a volte da lungo tempo, in stato di grave infermità, assistite medicalmente per i bisogni primari. Sono situazioni delicate, molto dolorose e complesse. Preghiamo perché ogni malato sia sempre rispettato nella sua dignità e curato in modo adatto alla sua condizione, con l’apporto concorde dei familiari, dei medici e degli altri operatori sanitari, con grande rispetto per la vita”. Tre giorni dopo, al termine dell’udienza generale del 18 aprile, aveva affermato: “Attiro l’attenzione di nuovo su Vincent Lambert e sul piccolo Alfie Evans, e vorrei ribadire e fortemente confermare che l’unico padrone della vita, dall’inizio alla fine naturale, è Dio! E il nostro dovere, il nostro dovere è fare di tutto per custodire la vita”.
Né eutanasia, né accanimento terapeutico. Per la Chiesa, la vita fa difesa dal concepimento fino al suo termine naturale, come non si stanca di ripetere Papa Francesco, sulla scia dei suoi predecessori, anche se molto spesso i suoi interventi in materia non vengono registrati dal circuito mediatico. Né eutanasia, né accanimento terapeutico, la posizione classica della dottrina sociale della Chiesa, rilanciata anche dal Catechismo della Chiesa cattolica. “L’ispirazione di condotte coerenti con la dignità della persona umana riguarda la teoria e la pratica della scienza e della tecnica nella loro impostazione complessiva in rapporto alla vita, al suo senso e al suo valore”, ha detto ad esempio Bergoglio ricevendo in udienza, il 5 ottobre 2017, i membri della Pontificia Accademia per la Vita, esortati a compiere “parole” e ”gesti” d’amore “per ogni vita e per tutta la vita”. “La passione per l’accompagnamento e la cura della vita, lungo l’intero arco della sua storia individuale e sociale, chiede la riabilitazione di un ethos della compassione o della tenerezza per la generazione e rigenerazione dell’umano nella sua differenza”, l’invito del Papa. Nell’analogo discorso del 25 giugno 2018, sulla scorta della Laudato si’ Francesco ha messo l’accento sull’”ecologia umana”, chiamata “a considerare la qualità etica e spirituale della vita in tutte le sue fasi”. La bioetica, in una prospettiva cristiana, deve muovere “dalla profonda convinzione dell’irrevocabile dignità della persona umana, così come Dio la ama, dignità di ogni persona, in ogni fase e condizione della sua esistenza, nella ricerca delle forme dell’amore e della cura che devono essere rivolte alla sua vulnerabilità e alla sua fragilità”.
“La bioetica globale – ha spiegato il Papa – ci sollecita alla saggezza di un profondo e oggettivo discernimento del valore della vita personale e comunitaria, che deve essere custodito e promosso anche nelle condizioni più difficili. Dobbiamo peraltro affermare con forza che, senza l’adeguato sostegno di una prossimità umana responsabile, nessuna regolazione puramente giuridica e nessun ausilio tecnico potranno, da soli, garantire condizioni e contesti relazionali corrispondenti alla dignità della persona”.
Nell’ultima assemblea della Pav, il Papa ha messo infine in guardia da “un incantamento pericoloso”, tipico della società tecnocratica: “invece di consegnare alla vita umana gli strumenti che ne migliorano la cura, si corre il rischio di consegnare la vita alla logica dei dispositivi che ne decidono il valore”. Di qui il “reale il rischio che l’uomo venga tecnologizzato, invece che la tecnica umanizzata”.