Giovanna Pasqualin Traversa
Donne coraggiose che hanno deciso di recidere i legami con la terra d’origine per mettere al sicuro i propri bambini prima che vengano fagocitati da un mostro spietato e tentacolare. Sono le madri in fuga dalla ‘ndrangheta con i figli minori per offrire loro la possibilità di una vita diversa dal paradigma imposto dalla criminalità organizzata. Perché la liberazione dalle mafie e la rinascita dei cuori passa anche attraverso il coraggio delle donne. Lo dimostra l’impegno di Roberto Di Bella, dal 2011 presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, in prima linea da sette anni per offrire percorsi diversi a bambini altrimenti costretti a crescere in contesti mafiosi. Come quei tre giovani calabresi tra i 25 e i 33 anni, arrestati in questi giorni con l’accusa di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti: attività coordinata dalla madre a capo dell’organizzazione, anch’essa in manette. Incontrando Di Bella per farci raccontare il progetto – reso possibile da un protocollo d’intesa e un finanziamento triennale – la prima cosa che ci dice è:
“Stiamo dando luce e speranza a molte persone che si trovavano nelle tenebre”.
A chiedere aiuto per sé e i propri figli sono donne con i mariti in carcere per scontare ergastoli o condanne fino a 30 anni, o donne i cui mariti sono stati assassinati; ma anche mogli di boss strettamente controllate e prive della possibilità di sottrarsi alla famiglia ‘ndranghetista. “Non sono collaboratrici di giustizia perciò non rientrano nei programmi di protezione, ma vogliono dissociarsi dai contesti mafiosi – spiega il magistrato -. Ad esse si aggiungono anche donne che hanno espiato pene detentive in carcere e vogliono allontanarsi dalle logiche criminali”. Una ventina, ad oggi, quelle che hanno lasciato con i figli i territori d’origine. “Vivono in altre città della regione o in altre parti d’Italia, inserite in una rete di protezione che prevede misure di sostegno economico e di inclusione sociale e lavorativa, e di inclusione scolastica per i minori”. Le loro storie hanno ispirato la fiction televisiva “Liberi di scegliere” andata in onda nei mesi scorsi su Rai uno.
Tutto questo grazie al protocollo d’intesa siglato il 2 febbraio 2018 a Roma, presso la sede della Direzione nazionale antimafia alla presenza del Procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho, tra Procura nazionale antimafia, Dipartimento pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, Tribunale e Procura per i minorenni di Reggio Calabria, Procura della Repubblica di Reggio Calabria, e associazione “Libera” contro le mafie.La Cei, pur non essendo sottoscrittore formale del protocollo, lo finanzia con i fondi dell’8xmille: “150 mila euro – spiega Di Bella – ai quali si aggiungono altri 150 mila euro dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per un totale di 300 mila euro sul triennio 2018-2020. Al momento sufficienti, ma le richieste stanno aumentando e quindi serviranno ulteriori risorse”. L’auspicio del magistrato è che “questa prassi virtuosa possa essere cristallizzata in una norma di legge al fine di avere stabilità nel tempo; che insomma venga messa a regime con finanziamenti stabili perché l’attuale protocollo ha durata temporanea legata alla buona volontà dei singoli sottoscrittori”.
Ad oggi, “grazie alla rete di Libera ci siamo occupati di una ventina di mamme e di una settantina di minori, ma abbiamo una decina di richieste pendenti”. Quanto sia importante lo sforzo di sottrarre i giovanissimi alla ‘ndrangheta lo dicono i numeri snocciolati dal magistrato:
“Negli ultimi 25 anni il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha processato oltre 100 minori per reati di criminalità organizzata,
di cui una cinquantina per omicidio o tentato omicidio. Si tratta di ragazzi coinvolti in omicidi di rappresentanti delle forze dell’ordine o legati a faide locali; oppure in traffico di droga o in estorsioni commesse per conto di genitori ristretti in carcere”.
Ma che succede se è anche la mamma a pregiudicare l’integrità psicologico-emotiva dei figli? “Abbiamo la possibilità di mettere i minori al riparo con provvedimenti di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale – replica Di Bella – ma senza recidere il legame con le relative figure. E’ importante tentare di recuperarle mantenendo l’interlocuzione. Con le madri ci siamo riusciti nel 95% dei casi; alla fine tutte le mamme vogliono il bene dei figli ma bisogna superarne pregiudizi e diffidenza nei confronti delle istituzioni” .Oggi, riconosce il magistrato con una punta d’orgoglio, “possiamo dire che a Reggio Calabria, territorio di frontiera, per molti ragazzi, madri, ed ora anche per alcuni padri ex detenuti, il Tribunale dei minori non è più un’istituzione nemica bensì l’ultimo baluardo nel mare dell’illegalità. Con il nostro lavoro siamo riusciti a conquistarci la loro fiducia”.
La novità sono i padri, come un uomo che dopo 23 anni di carcere per reati legati alla ‘ndrangheta ha chiesto aiuto per potersene andare con la famiglia, o il detenuto al 41 bis che scrive a Di Bella per ringraziarlo per il sostegno alla sua famiglia. “Solo allontanandolo da questo ambiente – dice -, il mio bambino avrà un futuro migliore.
Se avessi avuto io la stessa possibilità, forse non mi troverei in questo luogo di sofferenza”.
E sulla sua trasferta romana Di Bella dice: “Stiamo lavorando per ampliare il protocollo estendendolo anche ad altre regioni con il coinvolgimento del ministero di Giustizia e del Miur che ci darà un contributo. Molti ragazzi, ormai maggiorenni, vogliono continuare a studiare e hanno bisogno di borse. Più in generale, l’istruzione è un’arma strategica per la lotta alle mafie e il riscatto sociale: occorre avviare progetti educativi specifici sui territori”.