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Hong Kong, continuano le proteste. P. Milanese (Pime): “Senza dialogo non ci sarà via di uscita”

M. Chiara Biagioni

Una situazione confusa in cui appare sempre più difficile fare previsioni. Una cosa è certa: ad Hong Kong, nonostante il divieto assoluto di manifestare, i giovani non hanno mai cessato di scendere per strada. All’inizio lo hanno fatto per protestare contro la legge sulla estradizione e chiedere le dimissioni del capo dell’esecutivo locale Carrie Lam. Poi sono cominciati gli scontri con gli agenti della sicurezza e i manifestanti oggi chiedono di mettere fine alla “brutalità della polizia”.Da otto settimane il movimento di protesta non demorde e il centro della città si è trasformato in un campo di battaglia, con barricate, gas lacrimogeni e polizia anti-sommossa.Domenica, il bilancio dell’ultima manifestazione è salito ad almeno 16 feriti e 49 persone arrestate. La situazione è talmente calda che per la prima volta dalla restituzione del 1997, è intervenuto il governo cinese con una conferenza stampa del portavoce dell’Ufficio per Hong Kong e Macao del Consiglio di Stato, Xu Luying. Il Governo di Pechino ha chiesto all’esecutivo della regione amministrativa speciale di Hong Kong di punire i responsabili delle violenze e di “ristabilire l’ordine al più presto”. I manifestanti, ha denunciato Xu Luying, hanno “gravemente compromesso” la prosperità e la stabilità del territorio.

Chi sono. “C’è chi manifesta pacificamente e chi invece cerca lo scontro con la polizia. Difficile dire perché lo fa e da chi sono guidati. Certamente in questo modo, raggiungono l’obbiettivo di internazionalizzare il problema, attirando l’attenzione pubblica del resto del mondo e dimostrando che gli accordi della Joint Declaration tra il Regno Unito e la Cina su Hong Kong non vengono rispettati”. Raggiunto telefonicamente dal Sir, padre Renzo Milanese, missionario del Pime da 47 anni ad Hong Kong e parroco della parrocchia Madre del Buon Consiglio di Kawloon in San Po Kong, cerca di raccontare cosa sta succedendo in città e chi sono i ragazzi (“tutti giovanissimi, anche di 15 e 18 anni, studenti universitari ma anche alunni delle scuole secondarie”) che in questi mesi scendono in piazza. Gli scontri avvengono sempre con “il tramontare del sole”, spiega il missionario. Si tratta di una evidente strategia per non essere riconosciuti dalla polizia, creare maggiore confusione e disperdersi più facilmente tra le vie della città. A differenza del Movimento degli Ombrelli del 2014,

“non c’è una leadership riconosciuta, un punto di riferimento unico”. E questa “liquidità” rende più difficile ogni possibilità per il governo locale di avviare trattative di dialogo, gestire la situazione, individuare i responsabili.

Perché protestano. Le manifestazioni sono cominciate a giugno per protestare contro la controversa legge che avrebbe facilitato l’estradizione di criminali da Hong Kong alla Cina. Una misura che è stata vista come un pericoloso segnale di interferenza del governo cinese negli affari interni ad Hong Kong spingendo milioni di persone a sfilare per le strade. I manifestanti hanno cominciato a chiedere le dimissioni del capo dell’esecutivo locale Carrie Lam. Da subito l’uso di gas lacrimogeni, pallottole di gomma, barricate, addirittura il tentativo di sfondare e occupare i locali del Parlamento locale. Oggi i manifestanti chiedono – spiega il missionario Pime – “una commissione indipendente sugli scontri, il rilascio di tutti gli arrestati e il divieto di usare sistemi repressivi nei riguardi di chi protesta”.

La “questione di fondo”. Le proteste – dice padre Milanese – nascono da “un equivoco di fondo”. Dalla mancanza di “chiarezza” insita negli accordi per la restituzione di Hong Kong tra Regno Unito e Cina del 1997. “Questi accordi prevedevano un periodo di 50 anni di transizione durante i quali Hong Kong avrebbe dovuto mantenere le sue caratteristiche fondamentali e una partecipazione democratica nella gestione locale di Hong Kong”. Insomma, un Accordo valido fino al 2047, in cui la Cina si impegnò a garantire il principio di “Un Paese, due sistemi”. Ma ciò – agli occhi dei manifestanti – non sta avvenendo.“L’attuale legge elettorale continua a premiare i gruppi politici vicini alla Cina” e ciò che più preoccupa è la graduale erosione di libertà e autonomia.

Il ruolo delle Chiese. La diocesi cattolica di Hong Kong ha sempre seguito con apprensione e “tristezza” gli scontri ed ha più volte condannato “le violenze di qualsiasi natura e mezzi”, invocando giustizia. “Durante le manifestazioni – dice il missionario italiano – le chiese che si trovano nei pressi dei raduni, hanno sempre dato disponibilità a rimanere aperte per accogliere  chi avesse bisogno di ristoro o protezione. Difficile oggi prevedere come evolveranno le situazioni. Certo – conclude il religioso – se non c’è un dialogo, non se ne verrà fuori”.

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