Mentre i 28 Paesi europei cercano soluzioni alla situazione in Libia e nel Mediterraneo, gli sbarchi non si fermano nelle isole greche di Lesbo e Samos, nel mar Egeo, dove la situazione è drammatica ed esplosiva da tempo. In questo periodo a Lesbo arrivano ogni giorno, dalle coste turche, 100/150 persone, e non solo afghani e siriani, le prime due nazionalità presenti nei campi ufficiali e negli insediamenti informali. Molti provengono anche dall’Africa sub-sahariana, dal Congo, dal Camerun, dalla Somalia, perfino dallo Yemen, segno che le rotte sono cambiate e le persone, disperate, sono disposte a fare viaggi lunghissimi e ancora più pericolosi. Nell’isola di Lesbo sono già presenti oltre 7.000 donne, uomini e bambini migranti, fermi per mesi e mesi in attesa che la loro domanda di asilo venga presa in considerazione. Sono accolti nell’affollatissimo hot spot di Moria (oltre 5.000 persone ma la capienza è di 2.200 posti) e nel campo di Kara Tepe, destinato principalmente agli africani. Il centro di identificazione di Moria è gestito dal governo greco con l’aiuto dell’esercito, ma tanti servizi sono delegati alle Ong. Moltissime persone sono invece costrette a vivere in baracche malsane o tende in insediamenti informali, fuori dai campi. Tutti in condizioni disagiate e difficili, con i servizi ridotti all’essenziale: code lunghissime per mangiare cibi precotti, toilette disagevoli, le docce con acqua calda una rarità. Il volontariato e l’associazionismo cercano, come possono, di alleviare le carenze. Tra le realtà locali e internazionali presenti a Lesbo e Samos, ora anche la Comunità di Sant’Egidio ha deciso di puntare l’attenzione sull’emergenza dimenticata nelle isole greche. Dal 20 luglio e fino al 31 agosto, 150 volontari, a turni di dieci giorni, insieme ad un gruppo di mediatori culturali, trascorreranno le loro vacanze insieme ai profughi. I volontari stanno organizzando cene, feste e pranzi domenicali in parrocchia, gite, corsi di inglese e apriranno laboratori artistici, musicali, con attività di animazione per i bambini, le mamme, i giovani presenti. L’obiettivo è cercare di riportare la speranza tra chi si trova in una sorta di limbo dopo essere fuggito da guerre, persecuzioni o condizioni di vita insostenibili.
Priorità al cibo. Attualmente ci sono 23 volontari a Lesbo e 10 a Samos. Affittano appartamenti o stanze e si appoggiano a sedi di associazioni locali o alle parrocchie per realizzare le loro iniziative. “Abbiamo scelto di dedicare le nostre vacanze ai profughi per dare un segnale – racconta al Sir da Lesbo Valeria Guterres, volontaria della Comunità di Sant’Egidio -. Questa è la prima settimana, tante attività sono ancora da predisporre, ma abbiamo già iniziato ad organizzare ogni sera, dal lunedì al venerdi, una cena, seduti al tavolo, per circa 200 persone. Li facciamo mangiare e bere bene”.
“Il cibo è una priorità, perché al campo sono costretti a file lunghissime”.
E ai bisogni dei giovani. I bisogni sono enormi, per cui la selezione tra i profughi non è facile. “Andiamo nei campi a distribuire i ticket per la cena – racconta -. Ci sono tante famiglie numerose, persone disabili che hanno difficoltà di accesso al cibo. Ora la voce si sta spargendo. Chi si presenta per la cena ma non trova posto riceverà il ticket per il giorno successivo”. “Ci siamo resi conto che altre associazioni danno priorità alle donne e ai bambini – prosegue Guterres – ma per i giovani ci sono poche iniziative”.
“Vorremmo intercettare i bisogni dei ragazzi, proponendo iniziative mirate”.
In contemporanea c’è chi si occupa di organizzare eventi per i bambini, che partecipano alle feste con le loro mamme. Domenica scorsa nella parrocchia dell’isola è stato organizzato un pranzo festoso. I prossimi sabati, invece, saliranno su un pullman, andranno al mare, a fare una escursione. Vivranno una giornata spensierata come tutti gli altri turisti che affollano l’isola in queste giornate estive per il mare bello e le spiagge. Dimenticheranno per poche ore il motivo per cui sono arrivati fin qui. Poco lontano, le migliaia di salvagenti arancioni ammassati nella discarica locale, divenuti il simbolo drammatico delle morti in mare e di Lesbo, sono sempre lì. Per chiedere al mondo di non dimenticare.