SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Lo scorso 20 luglio il Vescovo Carlo Bresciani ha nominato parroco della parrocchia San Pio X don Ulderico Ceroni che abbiamo intervistato.
Con quale spirito ha accolto la nomina a parroco di San Pio X?
Non mi aspettavo di diventare parroco di San Pio X, perché il Vescovo, da quando sono amministratore parrocchiale di Colonnella, mi ha detto più volte che sarei diventato parroco proprio di Colonnella. Invece in seguito mi ha chiamato e mi ha proposto di diventare parroco di San Pio X. Ho accolto questo invito con molta serenità e gioia, perché in questa parrocchia ho iniziato la mia prima “avventura apostolica” nel 1968, quando l’edificio non era ancora mai stato utilizzato per una celebrazione! Ricordo ancora la prima Messa nel Natale di quell’anno, celebrata dal primo parroco, don Filippo, alla quale io ero presente. Al tempo ero seminarista, facevo il primo anno del liceo e cominciai ad andare sempre il sabato e la domenica in parrocchia, aiutando don Filippo a portare avanti la liturgia, il gruppo dei chierichetti, i primi gruppi giovanili degli adolescenti, fra cui il gruppo Iuvenes che iniziai io. Questo gruppo era composto da una ventina di ragazzi con i quali feci la prima esperienza di campo scuola, insieme a don Filippo, in Trentino. Rimasi in questa parrocchia fino al 1975, quando mi trasferii con la mia famiglia nella parrocchia di San Filippo Neri. Nel 1977 fui ordinato prima diacono e poi presbitero e rimasi per una decina di anni come viceparroco proprio a San Filippo Neri. Si può quindi dire che qui a San Pio X ho iniziato e qui finirò, in una specie di inclusione esistenziale.
Cosa vuole dire ai parrocchiani che la aspettano?
Ho molti amici che mi hanno conosciuto come seminarista e come prete. Vado nella parrocchia di San Pio X con molta serenità e gioia, perché è una parrocchia che ho sempre amato. Vado con umiltà, mettendomi a servizio della comunità, cercando di dare il meglio di me stesso come uomo, come sacerdote, sforzandomi di testimoniare la mia fede e quello che il Signore in questi 42 anni di presbiterato mi ha fatto sperimentare, attraverso la preghiera, la riflessione, il rapporto con le varie realtà cristiane della nostra Diocesi. Curerò molto il senso della preghiera, della liturgia. Essendo direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesano, la cura della liturgia è una mia specificità! Sono inoltre molto tranquillo perché mi inserisco nell’ottimo lavoro già svolto dal precedente parroco don Vincenzo Catani.
Lei è stato per diversi anni docente presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Mater Gratiae di Ascoli. In che modo secondo lei questo potrà essere di aiuto all’attività pastorale?
Il mio servizio accademico è stato per me di grande approfondimento e riflessione. Ho dovuto occuparmi delle dispense per gli studenti, curare il rapporto con loro, facendo attenzione alla trasmissione della fede e dei contenuti teologici. Questo mi ha impegnato continuamente nella lettura e nell’aggiornamento e soprattutto mi ha allenato a custodire la grande e bella tradizione cattolica, in particolare per quanto riguarda la liturgia e i sacramenti. Sicuramente questo mi darà una spinta a mettere in pratica quello che ho insegnato e a vivere tutta quella che è la ricchezza spirituale, liturgica e teologica della fede cristiana. In particolare sono legato a quelli che sono i contenuti ecclesiologici, teologici e spirituali del Concilio Vaticano II. Fondamentalmente il mio obiettivo è quello di inverare le istanze profetiche del Vaticano II.
Lei è un teologo liturgista. A suo parere quali sono gli errori più frequenti durante la liturgia?
Si deve evitare di ridurre la liturgia a una teatralità. Troppe volte si celebra la liturgia per mettere in mostra se stessi, quando noi siamo soltanto strumenti della Grazia di Dio e dello Spirito Santo, che opera attraverso di noi per la crescita e il bene dei fedeli. Dobbiamo impegnarci sempre di più affinché i christifideles laici partecipino attivamente alla vita liturgica. C’è bisogno di questa iniziazione alla vita liturgica. Siamo stati abituati a partecipare da spettatori della liturgia, ad assistere alla liturgia, come fosse uno spettacolo religioso o devozionale. Invece dobbiamo recuperare il vero senso della actuosa participatio che la Sacrosanctum Concilium ha sottolineato, poiché la liturgia è Storia della Salvezza in atto, è realizzazione del mysterium salutis, è la salvezza che avviene qui e ora, hic et nunc, attraverso la celebrazione. Dunque è necessario educare il popolo al senso della preghiera e dell’ascolto, alla centralità della Parola di Dio, anche con una predicazione, un’omiletica che aiutino davvero il Popolo di Dio ad entrare nel senso spirituale e profondo dei testi sacri, attualizzandoli nell’oggi, altrimenti faremmo solo archeologia biblica e liturgica.
Secondo lei a cosa è chiamata oggi la parrocchia?
Sono stato impegnato dieci anni nell’insegnamento universitario, quindi ho perso un po’ lo smalto della mia presenza in parrocchia! In questo ultimo anno e mezzo sono stato a Colonnella, dove sono stato accolto in maniera splendida: i parrocchiani mi hanno voluto molto bene e sono dispiaciuti che ora vada via. Ho potuto godere dell’amicizia e della stima di tanta gente. Ora inizio questo nuovo servizio in parrocchia che è famiglia di famiglie, il luogo dove si fa esperienza della comunione, nella diversità delle espressioni, delle spiritualità, dei modi di accogliere il mistero di Dio. La parrocchia deve fare sintesi e il parroco è il ministro della comunione.
Ci potrebbero essere gruppi diversi, con specificità diverse e sensibilità diverse. Possiamo definirli “linguaggi dialettali”: il parroco deve aiutare i cristiani a fare sintesi e a parlare una sola lingua, quella della fede della Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica, guidata dal magistero dei suoi Vescovi.
Il parroco dunque è ministro della comunione, tanto è vero che il luogo più espressivo del dirsi e del darsi della Chiesa è l’Eucaristia, che è il momento più alto della vita cristiana. Io vedo la parrocchia soprattutto come luogo di formazione dei laici che purtroppo abbiamo riempiti di belle devozioni, di Madonne apparenti, di rosari, di misticismi, ma forse non li abbiamo accompagnati ad entrare dentro la ricchezza della Parola di Dio e soprattutto della lex celebrandi, cioè la liturgia, che consente di realizzare una vita cristiana incarnata nella storia.