Giovanni M. Capetta
Di chi è ciò che possediamo? Il Papa nella Laudato si’ è perentorio a riguardo e, citando abbondantemente San Giovanni Paolo II, afferma: “Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una regola d’oro del comportamento sociale […] La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata” (LS 93).
È come, continua il Papa, se su ogni proprietà gravasse un’ipoteca sociale perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha dato loro. È sotto gli occhi di tutti che nel mondo le cose non vadano secondo questa regola d’oro. I ricchi sono sempre meno e sempre più ricchi e i poveri sempre di più e sempre più poveri. Non si scorgono all’orizzonte istituzioni mondiali che abbiano reali poteri e forse intenzioni di invertire questa deriva in cui pare prevalere un’ingiustizia globale che contraddice nettamente che il disegno della Creazione.
L’enciclica cita un pronunciamento dei vescovi della Nuova Zelanda secondo i quali il fatto che il venti per cento della popolazione mondiale consumi risorse in misura tale da rubarne alle nazioni povere corrisponda a trasgredire il comandamento di “non uccidere”. Ma ancora una volta non è questo un grande discorso che resta sopra le teste di noi singoli innocenti e quasi vittime del sistema?
Che cosa possiamo fare senza il rischio di perderci in utopistiche campagne di protesta che pure talvolta dal basso riescono a scuotere i torpori più o meno colpevoli delle autorità competenti? A differenza di quanto in prima battuta possa sembrarci, ci sono degli spazi di libertà che ancora noi cittadini possiamo utilizzare per dare dei segni tangibili che la condivisione secondo le necessità ha un primato assoluto. Penso a quelle famiglie che hanno deciso di mettere in comune i loro conti correnti. Sì proprio così… con il suo bancomat un padre può attingere al denaro guadagnato dall’altro padre e così le mogli… secondo le necessità prioritarie ovviamente concordate. Che bella sfida: un genitore dei due nuclei perde il lavoro, oppure incombe una malattia, ma anche serve pagare una retta scolastica o anche solo si rompe un elettrodomestico costoso. Una piccola rete si è costituita e si può assaporare il sapore della solidarietà e del sostegno reciproco, andando proprio oltre il principio della proprietà privata. Ci sono anche famiglie che decidono di andare a vivere insieme e tenere aperte alcune porte degli ambienti comuni. Sono case-famiglia o condomini solidali in cui si sperimenta concretamente che l’unione fa la forza e che si possono davvero creare quelle famiglie di famiglie che sono modello tanto auspicato anche per le nostre comunità parrocchiali. Sono occasioni in cui la famiglia fa una scelta condividendola fra tutti i suoi membri e divenendo protagonista nel suo complesso di una decisione fuori dell’ordinario. Piccoli esempi che non sono destinati ad essere vissuti da ogni singolo nucleo famigliare, ma che possono illuminare la via, dare un indirizzo, uno spunto e magari farci venire voglia di aprire più spesso la porta di casa, invitare a pranzo o a cena non solo quelli a cui dobbiamo ricambiare e sentire come suona la verità che ciò ch’è mio è tuo.
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