“I pazienti, i loro familiari e il personale dell’ospedale sono psicologicamente distrutti – dichiara il direttore di un ospedale nell’area -. Quando gli aerei sorvolano l’edificio sono molto spaventati, alcuni scappano dalla struttura per paura di essere colpiti. Spesso dobbiamo evacuare l’ospedale nel timore che potrebbe accaderci qualcosa. Ci sono giorni in cui dobbiamo ripararci più volte nella stanza di sicurezza per via degli aerei. Ma anche quando dobbiamo interrompere il nostro lavoro, facciamo tutto il possibile per tenere aperto il pronto soccorso. Alcuni ospedali della zona assistono decine di migliaia di persone e dobbiamo essere lì per loro, nel caso accada qualcosa”.
L’aumento della violenza ha costretto più di 450.000 persone ad abbandonare le loro case, aggiungendosi alle centinaia di migliaia di persone sfollate in precedenza nel governatorato di Idlib. La maggior parte dei nuovi sfollati si è diretta verso aree densamente abitate e vive in tende o all’aperto sotto gli ulivi, dove hanno bisogno di cibo, acqua e assistenza medica.
“Oggi ci sono centinaia di migliaia di persone sfollate che vivono in condizioni disperate – afferma Lorena Bilbao, coordinatrice delle operazioni Msf dei progetti in Siria -. Molti dei campi sono sovraffollati, le infrastrutture sono inadeguate e le condizioni igieniche sono così precarie da creare un rischio epidemie. Se le persone non possono bere acqua potabile, ci aspettiamo sempre più pazienti con disidratazione, diarrea e malattie trasmesse dall’acqua. Questo comporterà un ulteriore peggioramento di una situazione già critica”.
Msf ha intensificato le proprie attività con cliniche mobili e ha rinforzato il proprio supporto alle strutture mediche locali donando farmaci alle strutture sanitarie, kit di primo soccorso e kit chirurgici agli ospedali e supportando i trasferimenti dei pazienti nell’area.