“Non è più possibile pensare che l’Europa non rimetta in campo un sistema di ricerca e salvataggio”.
Lo dice Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr in Italia, dopo il naufragio davanti alle coste libiche in cui avrebbero perso la vita 40 persone. Il team in Libia dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sta assistendo le persone salvate, circa sessanta. “Le operazioni di salvataggio sembra che siano state condotte da pescatori libici, in una situazione lasciata scoperta da troppi mesi”, riferisce Sami. Che segnala “un arretramento da parte di tutte le forze di ricerca e salvataggio dei paesi europei”. “Quindi, i morti continuano a esserci. Dall’inizio dell’anno nel Mediterraneo sono stati circa 900. All’ultimo vertice di Parigi i Paesi che hanno partecipato hanno riconosciuto due aspetti fondamentali – ricorda la portavoce dell’Unhcr in Italia -. Anzitutto, non è più possibile accettare come ineluttabili queste morti. Ma si è riconosciuto anche che la Libia non è un Paese sicuro e le persone non possono essere riportate lì e messe in detenzione. A questo punto, da queste dichiarazioni di consapevolezza bisogna passare all’azione”. Inoltre, Sami riferisce che “con il nostro partner medico stiamo raccogliendo le testimonianze e sembra che tra i dispersi ci siano donne e bambini”. Sul naufragio è intervenuto anche il portavoce per l’Africa, il Mediterraneo e la Libia, Charlie Yaxley, secondo cui “queste tragedie sono prevenibili”. “Non è possibile accettare grandi perdite di vite umane ogni mese come avviene di consueto. Sono necessarie maggiori capacità di salvataggio incluso il ripristino delle navi degli Stati dell’Ue. Le Ong dovrebbero essere libere di salvare vite umane in mare. Maggiori sforzi per dare speranza alle persone in modo da non rischiare questi viaggi”.
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