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Mercatone Uno Colonnella: esiste ancora un filo di speranza per i dipendenti rimasti senza lavoro

Carletta Di Blasio

COLONNELLA – «Ero al termine di una giornata per me molto pesante per via di alcuni controlli di salute che mia moglie aveva fatto, quando all’improvviso mi è arrivata una notifica su Whatsapp. Da quel momento non sono più riuscito a prendere sonno: né quella sera né le sere successive». Inizia così il lungo racconto di Rosario Tripodi, 52 anni, sposato e con due figli che studiano da mantenere, Rappresentante Sindacale dal 2008 dei lavoratori del punto vendita Mercatone Uno di Colonnella. Mi spiega che nel messaggio ricevuto il 24 Maggio scorso c’erano scritte poche righe: il Tribunale di Milano aveva dichiarato fallimento per la Shernon Holding Srl, la società prima a controllo maltese, poi americano, che otto mesi prima aveva acquisito la quasi totalità dei negozi Mercatone Uno con grandi prospettive di rilancio dell’azienda. «Ho ricevuto subito molte chiamate: i miei colleghi volevano sapere da me cosa fosse realmente avvenuto, ma io purtroppo non avevo risposte».

E non le aveva neanche Luana Agostini, Segretario Generale della Filcams Cgil di Ascoli Piceno, che pure aveva seguito tutta la vicenda fin dall’inizio e che mi racconta di come questo epilogo sia stato un’assoluta sorpresa anche per lei. «La Mercatone Uno – spiega la Agostini – è un’azienda storica italiana che ad un certo punto si è trovata a fare i conti con nuovi concorrenti, con un mercato cambiato e soprattutto con un non facile passaggio di consegne ai vertici dell’azienda stessa. Pertanto dal 2008, anno in cui la crisi si è effettivamente aperta, l’azienda ha fatto progressivamente ricorso alla cassa integrazione e al contratto di solidarietà; ma, constatato che questa cura con gli ammortizzatori sociali non era stata sufficiente, è stata presentata domanda di concordato per procedere ad un piano di rimessa in salute dell’azienda. A questo punto i commissari incaricati hanno deciso di procedere alla vendita dell’azienda, cercando di evitare il più possibile lo spezzettamento dell’impresa e dunque tra le 7 offerte pervenute hanno scelto due aziende: la Shernon Holding Srl (con sede a Milano) che ha acquisito più di 50 punti vendita e la Cosmo Srl (con sede a Corropoli, proprietaria anche del marchio Globo), che ha acquisito una ventina di punti vendita».

«Questo passaggio di consegne è stato complesso e non privo di scelte personali dolorose» – mi racconta Genny Rossi, 43 anni, sposata e con un figlio, delegata sindacale per il punto vendita di Colonnella. «La nuova proprietà infatti ha promesso di mantenere i dipendenti a condizione che tutti passassero da un contratto di lavoro full-time ad uno part-time, con un notevole ridimensionamento del vecchio salario. Tuttavia abbiamo accettato con fiducia sia perché il Dott. Rigoni, socio unico della nuova proprietà, ci parlava con entusiasmo dei progetti di rilancio che aveva per l’azienda, sia perché l’intera vicenda era stata seguita dal Ministero dello Sviluppo Economico e del Lavoro e questo per noi rappresentava una garanzia. Ma le cose non sono andate come ci aspettavamo».

Ecco cosa è accaduto: la Shernon Holding Srl, pur pagando regolarmente gli stipendi ed i relativi contributi a tutti i dipendenti, in pochi mesi ha accumulato una serie di debiti nei confronti dei fornitori che l’hanno costretta a fare richiesta di concordato. Il Tribunale di Milano ha deciso di andare incontro alle richieste dei fornitori, quindi di non attendere il piano di risanamento industriale e di dichiarare il fallimento della società per preservare l’azienda da un dissesto ancora maggiore. Così la Agostini commenta la vicenda: «Sebbene da un lato io debba riconoscere la rapidità con cui il Ministero della Sviluppo Economico ci ha ricevuto e si è preso carico della vicenda, formalizzando in pochi giorni un accordo sulla cassa integrazione a zero ore autorizzandola per tutti i lavoratori fino al 31 Dicembre 2019, devo comunque dall’altro lato sottolineare come per i dipendenti questa sia una soluzione non soddisfacente, in quanto l’importo mensile della cassa integrazione è una percentuale del salario pattuito con la nuova proprietà, già ridotto rispetto al vecchio salario. Nel punto vendita di Colonnella erano collocati 30 dipendenti, di cui 18 residenti in Abruzzo (6 a Colonnella, 5 a Martinsicuro, 2 a Giulianova, 2 a Pineto, 1 a Corropoli, 1 ad Alba Adriatica, 1 ad Atri) e 13 residenti nelle Marche (5 a Monteprandone, 4 a San Benedetto del Tronto, 3 a Grottammare, 1 ad Ascoli Piceno). Tra loro sono presenti alcuni lavoratori monoreddito e tre coppie di coniugi: queste famiglie al momento non hanno più alcuna fonte di reddito e mi è stato addirittura segnalato il caso di una persona che attualmente dorme all’interno della propria auto».

Rosario mi guarda arrabbiato, ma anche sconfortato: «Quello che ci è capitato ha dell’assurdo! Come è possibile che un’azienda in crisi sia stata venduta ad un’altra azienda che non aveva evidentemente le basi economiche per poterla risanare?! Ora ci troviamo peggio di prima! Un anno fa avevamo almeno la speranza, ora non abbiamo più neanche quella».

In realtà la decisione del Tribunale è stata voluta in quanto ritenuta necessaria proprio per non pregiudicare la consistenza patrimoniale dell’azienda e renderla appetibile a nuovi investitori. Ed è proprio questo che la Agostini si augura che accada: «Agli attuali commissari della Mercatone Uno è stato concesso un semestre di tempo per procedere ad una nuova vendita che si spera venga effettuata ad una proprietà solida che proceda alla riapertura di tutti i negozi: se così fosse, 1800 famiglie tornerebbero a vivere e sorridere».

Non è quindi detta l’ultima parola: anche se flebile, un filo di speranza ancora c’è.

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