Il gesuita Giovanni Sale ha analizzato il concetto di laicità nel cristianesimo, nell’ebraismo e nell’islam e in un saggio apparso oggi sull’ultimo numero de La Civiltà Cattolica dal titolo Laicità dello stato e religioni monoteiste.
Nel corso della sua evoluzione storica, il concetto di laicità si è differenziato in Occidente a seguito dei due eventi: la Rivoluzione Francese e la Rivoluzione America. Se in Francia la laicità si è tradotta in un distacco della politica dalla religione, negli Stati Uniti essa ha comportato un positivo riconoscimento di tutte le esperienze religiose.
Secondo l’insigne gesuita, per quanto riguarda il nostro continente «la laicizzazione dello Stato comportò, nella maggior parte dei Paesi dell’Europa occidentale, il trasferimento alle autorità secolari di competenze e di istituti che in precedenza erano considerati di esclusiva pertinenza delle autorità religiose. Infatti, nella società sacrale dell’ancien régime alcune funzioni, come la giustizia, l’ordine pubblico e la difesa dello Stato mediante l’esercito, erano riservate allo Stato; altre, invece, come la celebrazione del matrimonio, la conservazione dei registri anagrafici, la gestione dei cimiteri, la formazione scolastica (compresa quella di livello universitario) e la tutela della salute dei sudditi, nonché altre opere di impegno sociale, erano considerate di competenza della Chiesa».
Dopo aver analizzato cosa significhi laicità per l’ebraismo e per l’islam, padre Sale afferma: «il concetto di laicità degli ordinamenti politici secondo la prospettiva weberiana, alla luce della nostra analisi, risulta essere un principio ordinatore prettamente occidentale, frutto di un particolare processo storico attivato dalla concorrenza e, nello stesso tempo, dalla collaborazione tra due ordinamenti diversi – quello secolare e quello religioso – per la guida della cristianità». Questo significa che «lo Stato moderno e secolare è nato in Europa attraverso un processo di “sottrazione” di compiti che in passato rientravano nell’ambito del sacro». Di conseguenza «questo processo, nel suo divenire storico, è stato a volte traumatico e doloroso, ma alla fine ha posto le basi per una pacifica convivenza tra Chiesa e Stato, tra la sfera religiosa e quella politica, nel reciproco riconoscimento e legittimazione».
Pertanto, conclude padre Sale, «questo modello non può essere esteso in modo indiscriminato ad altre culture giuridico-istituzionali, come quella tradizionale islamica, senza correre il rischio – come è accaduto in passato – di innescare processi storico-sociali di forte opposizione e di netto rifiuto nei confronti dei valori occidentali». In particolare «deve essere esso stesso a creare, con le sue categorie giuridiche, religiose e culturali, una propria sintesi, cioè una ricomposizione «tutta islamica» dei rappor- ti tra autorità politica e autorità religiosa, tanto più che il Corano a tale riguardo, soprattutto nella materia dell’organizzazione dello Stato, lascia ampia libertà di scelta».