“Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano?”. “La risposta è semplice: è necessario fare, ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle Beatitudini”. Il Papa celebra la Messa a Port Louis, nella spianata che fa da cornice al Monumento di Maria Regina della Pace, e mentre oltre 100mila persone in festa, provenienti da tutto l’Oceano Indiano, lo acclamano agitando rami di palme, cita subito l’ “apostolo dell’unità mauriziana”, il beato Jacques-Désiré Laval, “tanto venerato in queste terre”, le cui reliquie sono sull’altare. È festa nazionale, nelle isole Maurizio, e tutti accorrono a vedere il successore di Pietro che rende omaggio a colui che cristiani, indù, musulmani e buddisti, considerano il padre della nazione. In una terra multietnica, multireligiosa e multiculturale conosciuta nel mondo per le sue attrazioni turistiche, l’omaggio scelto dai mauriziani per rendere indelebile questa giornata storica è in puro stile “Laudato sì”: sono 100mila, infatti, gli alberi che saranno piantati aderendo all’appello di Bergoglio per una ecologia integrale, e che il Papa ha benedetto nel secondo e ultimo appuntamento pubblico della giornata e dell’intero viaggio in Africa, dopo le tappe in Mozambico e in Madagascar. E il discorso alle autorità termina proprio con l’invito ad
“andare avanti con quell’atteggiamento costruttivo che spinge a incentivare una conversione ecologica integrale”,
obiettivo centrale nell’enciclica di Bergoglio, che “mira non solo a evitare terribili fenomeni climatici o grandi disastri naturali, ma cerca anche di promuovere un cambiamento negli stili di vita in modo che la crescita economica possa davvero giovare a tutti, senza correre il rischio di provocare catastrofi ecologiche o gravi crisi sociali”. L’ultimo discorso del Santo Padre in terra d’Africa, dai forti accenti politici, è cominciato con la menzione della questione decisiva, in quello che Bergoglio definisce “un cambiamento d’epoca”, e non un’epoca di cambiamento: le migrazioni.
“Accettare la sfida dell’accoglienza e della protezione dei migranti che oggi vengono qui per trovare lavoro, e, per molti di loro, migliori condizioni di vita per le loro famiglie”, l’imperativo.
“Il Dna del vostro popolo – ricorda il Papa dal palazzo presidenziale di Port Louis – conserva la memoria di quei movimenti migratori che hanno portato i vostri antenati su questa isola e che li hanno anche condotti ad aprirsi alle differenze per integrarle e promuoverle in vista del bene di tutti”: “Abbiate a cuore di accoglierli come i vostri antenati hanno saputo accogliersi a vicenda, quali protagonisti e difensori di una vera cultura dell’incontro che consente ai migranti – e a tutti – di essere riconosciuti nella loro dignità e nei loro diritti”, la consegna di Francesco. Le isole Maurizio, nelle parole del Papa, sono una dimostrazione che
“è possibile raggiungere una pace stabile a partire dalla convinzione che la diversità è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una ‘diversità riconciliata’. Questa è base e opportunità per la costruzione di una effettiva comunione all’interno della grande famiglia umana senza la necessità di emarginare, escludere o respingere”.
Per continuare ad essere “un’oasi di pace”, le isole Maurizio devono conservare ”la tradizione democratica instaurata a partire dall’indipendenza”. “Essere un esempio per coloro che contano su di voi, specialmente per i giovani”, l’appello ai politici, insieme a quello a “combattere tutte le forme di corruzione”. “La crescita economica non vada sempre a vantaggio di tutti e che lasci da parte un certo numero di persone, specialmente i giovani”, il monito per riuscire a “sviluppare una politica economica orientata alle persone e che sappia privilegiare una migliore distribuzione delle entrate, la creazione di opportunità di lavoro e una promozione integrale dei più poveri”, senza “cedere alla tentazione di un modello economico idolatrico che ha bisogno di sacrificare vite umane sull’altare della speculazione e della mera redditività, che tiene conto solo del beneficio immediato a scapito della protezione dei più poveri, dell’ambiente e delle sue risorse”.
“I giovani sono la nostra prima missione”,
la raccomandazione di Francesco nella Messa che ha aperto la giornata, sulla scia dell’attenzione speciale riservata al “popolo” giovane – la maggioranza della popolazione – mostrata in tutte le tappe della sua trasferta in Africa. Bisogna imparare “a riconoscere e fornire ad essi un posto in seno alla nostra comunità e alla nostra società”, dice il Papa. “Com’è duro constatare che, nonostante la crescita economica che il vostro Paese ha avuto negli ultimi decenni, sono i giovani a soffrire di più, sono loro a risentire maggiormente della disoccupazione che non solo provoca un futuro incerto, ma inoltre toglie ad essi la possibilità di sentirsi protagonisti della loro storia comune”, il grido d’allarme: “Futuro incerto che li spinge fuori strada e li costringe a scrivere la loro vita ai margini, lasciandoli vulnerabili e quasi senza punti di riferimento davanti alle nuove forme di schiavitù di questo secolo XXI”. “Non lasciamoci rubare il volto giovane della Chiesa e della società! Non permettiamo ai mercanti di morte di rubare le primizie di questa terra”, l’appello centrale dell’omelia, insieme a una denuncia: “I nostri giovani e quanti come loro sentono di non avere voce perché sono immersi nella precarietà”.