Roberta Barbi – Città del Vaticano www.vaticannews.va
Si sente spesso dire che i fatti contano più delle parole, ma quando è la Parola di Cristo a farsi strada, null’altro conta. Lo sapeva bene padre Richard Henkes, il sacerdote pallottino che per le sue parole è stato condannato a una delle morti più atroci del Novecento. Non è un caso che la Beatificazione di questo martire del nazismo avvenga il giorno dopo la solennità dell’Esaltazione della Croce.
L’ascesa del nazismo
Richard nasce e cresce in un ambiente fortemente cattolico, conosce i Pallottini e viene ordinato sacerdote. Viene subito impiegato come educatore nelle scuole di Vallendar e Alpen, mentre, intorno a lui, il mondo sta cambiando. Siamo negli anni dell’ascesa dei nazisti in Germania e della costituzione del Terzo Reich. Richard si rende subito conto che non si tratta di un’ideologia portatrice dei valori cristiani. Anche quando la situazione si fa più pericolosa, resta saldo nella fede. Continua ad insegnare il catechismo ai giovani, pratica con gli altri sacerdoti gli esercizi spirituali e predica l’uguaglianza durante la Messa. “La fede per il nostro Beato è stata la linea guida per giudicare i crimini dei nazionalsocialisti e questa fede può aiutare anche noi oggi a comprendere le ideologie disumane e a contrastarle”, sottolinea il postulatore della causa dei Beatificazione, padre Adam Golec.
Dachau, baracche 26 e 17
La situazione precipita quando padre Henkes si scaglia contro la pratica dell’eutanasia dei disabili e dei più deboli. Il regime non può stare a guardare. Dopo un primo arresto nel 1937, viene rilasciato in seguito ad una amnistia. Catturano una seconda volta nel 1943 con destinazione Dachau: il campo di morte non lontano da Monaco. E’ registrato con il numero 49642. In questo luogo di sofferenza assoluta, continua la sua opera di evangelizzazione nella baracca 26, quella destinata ai sacerdoti nemici del Reich. Nel 1944 viene trasferito nella baracca 17, quella dei malati di tifo. Il sacerdote si offre volontario per aiutare i contagiati, pur sapendo che non ne uscirà vivo. Morirà per questa malattia il 22 febbraio 1945. La Chiesa lo considera un martire, ricorda padre Golec, “perché ha combattuto il sistema nazista fin dall’inizio e perché si è offerto volontariamente al servizio dei più bisognosi”.