Il Mediterraneo è un “insieme” geografico e culturale, senza una coerenza politica. Lo storico francese Fernand Braudel parlava di questo spazio non come un insieme omogeneo, ma come “un sistema dove tutto si mescola e si ricompone in una unità originale”, un luogo di scambi e multiculturale. Papa Francesco dà una sua definizione in un importante discorso pronunciato a Napoli lo scorso 21 giugno in occasione di un convegno universitario di teologia: “Il Mediterraneo è proprio il mare del meticciato – se non capiamo il meticciato, non capiremo mai il Mediterraneo –, un mare geograficamente chiuso rispetto agli oceani, ma culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione”.
Difatti
è impossibile pensare il Mediterraneo con una sola visione parziale.
Pensare il Mediterraneo significa pensare la differenza, la pluralità, l’alterità. La dimensione interculturale è una componente strutturale di questa regione.
Bisogna però osservare un fatto: benché la sua configurazione geografica dovrebbe portare gli uomini a vivere in pace, il Mediterraneo, luogo di scambi, di commercio, per le ambizioni territoriali di varie e potenze ha raramente conosciuto la pace nella sua storia.
Ecco perché aprire oggi un vero dialogo interculturale e interreligioso è indispensabile. È il senso della domanda di Papa Francesco nel suo famoso discorso: “Come alimentare una convivenza tollerante e pacifica che si traduca in fraternità autentica? Come far prevalere nelle nostre comunità l’accoglienza dell’altro e di chi è diverso da noi perché appartiene a una tradizione religiosa e culturale diversa dalla nostra?”.
Francesco ha una visione culturale forte.
Dice ancora: “Dobbiamo convincerci: si tratta di avviare processi, non di definire o di occupare spazi… Avviare processi”. E sottolinea in tutti i suoi interventi, come a suo tempo Giovanni Paolo II, la responsabilità delle religioni, dei capi delle religioni.
Giovanni Paolo II aprì nel 1986 la strada allo Spirito di Assisi. Il suo successore parla di una “teologia dell’accoglienza e del dialogo”. Tale teologia dovrebbe cercare “una convivenza pacifica dialogica”. Il Pontefice propone un vero piano di formazione alla conoscenza delle culture e delle religioni agli studenti in teologia: “Formare gli studenti al dialogo con gli ebrei implica educarli alla conoscenza della loro cultura, del loro modo di pensare, della loro lingua, per comprendere e vivere meglio la nostra relazione sul piano religioso. Nelle facoltà teologiche e nelle università ecclesiastiche sono da incoraggiare i corsi di lingua e cultura araba ed ebraica, e la conoscenza reciproca tra studenti cristiani, ebrei e musulmani”. La proposta è audace.
Francesco ha capito che la grande lezione del Mediterraneo sta nella necessaria intelligenza per costruire la pace.
Per tale ragione sono molto importanti – sul piano storico – le ricerche di contatti e di relazioni per edificare un modello di società umana che sorpassi lo spririto del conflitto. Alte figure hanno illustrato tale impegno.
San Francesco di Assisi ne è la figura tutelare. Al tempo delle crociate si recò presso il nemico, il sultano Melk el Kamel: una follia, espressione della sua fedeltà assoluta al Vangelo. Tale spirito animò anche il catalano Ramon Lull che, nel Quattrocento, cercò une via d’incontro tra cristianesimo, ebraismo e islam. Lo stesso spirito ha sostenuto numerose personalità mediterranee: il re del Marocco Mohamed V, Giorgio La Pira, il “sindaco santo” di Firenze, il filosofo agnostico Albert Camus: tutti avevano una visione del Mediterraneo come spazio di dialogo.
Nell’Ottocento, un modello fu offerto dall’emiro islamico Abd el Kader che rifiutava la logica dell’odio nonostante la conquista francese della sua Algeria. Più tardi, Charles de Foucauld ha praticato l’apostolato della fraternità. A Firenze, al tempo della Guerra fredda, Giorgio La Pira ha sviluppato il dialogo in tutte le direzioni per – come diceva – abbattere i muri, aprire le finestre e lanciare dei ponti. Famosi sono stati i suoi “Dialoghi mediterranei” con personalità così diverse come Louis Massignon, Jules Isaac, Mulay Hassan, Martin Buber, rappresentanti della diversità mediterranea, sulla quale il patriarca di Costantinopoli Athenagoras I insisteva, per sottolineare la necessaria coesistenza multiculturale e multietnica.
Giovanni Paolo II a sua volta ha fatto di Assisi, il 27 ottobre 1986, l’asse di questo
Mediterraneo portatore di pace e di rispetto delle alterità
con l’invito alle religioni del mondo, in particolare le religioni figlie di Abramo, per pregare per la pace in un luogo segnato da san Francesco. Il colle di Assisi è un riferimento per la pace. Ormai, lo Spirito di Assisi nutre una visione nuova delle responsabilità delle religioni per la pace, particolarmente per il Mediterraneo.
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