DIOCESI – Pubblichiamo la riflessione di Don Gian Luca Rosati, parroco di Cristo Re e tratta dal suo blog Gioia e Pace
Sono un prete e nell’esercizio del mio ministero incontro spesso persone molto anziane e persone ammalate.
Mi capita anche di assistere moribondi e agonizzanti.
Così ho potuto notare come l’opinione dell’ammalato sulla sua vita cambi notevolmente a seconda della percezione che egli ha del mondo che lo circonda.
A partire da queste esperienze quotidiane di incontro e ascolto, oggi mi chiedo se la decisione di farsi uccidere, perché ci si sente un peso o uno scarto per la società, si possa davvero considerare scelta libera del malato.
Io credo di no.
Noi siamo tutti figli di qualcuno (per essere concepiti c’è stato bisogno dell’incontro di un uomo e di una donna) e nessuno di noi ha deciso se nascere o non nascere, né abbiamo deciso dove e quando nascere
Nessuno di noi è stato libero di nascere.
Se questo vale per la nascita di ogni uomo, dovrebbe valere per la vita intera: non ho deciso quando nascere (si vede che non è in mio potere), non decido quando morire.
Ogni volta che un uomo sceglie di lasciarsi morire, è una sconfitta per tutta la nostra società umana.
Ognuna di queste morti ci ricorda quanto siamo stati incapaci di prossimità, solidarietà, compassione, carità.
Ognuna di queste morti ci ricorda quanto siamo stati incapaci di far sentire “a casa sua” una persona in difficoltà.
Ognuna di queste morti ci ricorda quanto siamo individualisti e poco inclini a prenderci cura dei membri della comunità di cui facciamo parte, soprattutto dei più deboli, dei più poveri, degli ultimi.
Per me, poi, che sono cristiano, il dolore per ognuna di queste morti è ancora più grande.
Sono molto contento quando mi ritrovo con “il mondo a fianco” nella battaglia per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti, degli emarginati, dei più poveri e abbandonati.
Sarei molto contento di ritrovarmi “il mondo a fianco” nella battaglia per il rispetto della vita fin dal suo concepimento.
Sarei molto contento di ritrovarmi “il mondo a fianco” nell’assistenza e nella prossimità agli ammalati e agli agonizzanti.
San Camillo, Santa Teresa di Calcutta e molti altri santi, che si sono segnalati per la passione vissuta nelle corsie degli ospedali, hanno detto con la vita che la differenza la fa l’amore: «Più cuore in quelle mani», diceva san Camillo ai suoi discepoli!
I malati e gli agonizzanti non possono essere lasciati soli!
Con loro noi, e tutto il mondo, dovremmo essere, non per aiutarli a morire, ma per far loro sentire quanto ci sono cari e indispensabili!
Ho scritto questo perché so bene che solo il malato conosce le sofferenze fisiche o morali che sta attraversando e non mi permetterei mai di giudicarlo per le sue opinioni e volontà.
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