“Poco fa è stato bombardato dai turchi il villaggio curdo di Khatuniya, nell’area di Tirbe-Spi (Qahtaniya), a est di Qamishlo. È stata colpita anche una chiesa siro-ortodossa. Fortunatamente non si hanno notizie di morti e feriti”. Sono le ultime notizie che giungono dal fronte del nordest siriano, abitato prevalentemente dai Curdi, dove è in corso da 48 ore l’offensiva turca, denominata “Peace Spring” (fonte di pace). A rivelarle al Sir gli operatori dell’ong italiana “Un ponte per” presente nella zona con il partner locale, la Mezzaluna Rossa curda. Notizie di attacchi arrivano anche da altre zone come Ain Issa, Derbesiye, Gire Spi, Sere Kaniye, Kadurbah (Qamishlo). Il ministero della Difesa di Ankara ha annunciato che è stato ucciso il primo soldato turco dall’inizio delle operazioni della Turchia nel nord-est della Siria. Altri tre sono rimasti feriti. Ieri le forze curdo-siriane avevano dichiarato che cinque militari turchi erano stati uccisi nelle ultime ore. Fonti militari curde riferiscono di almeno una decina di morti tra la popolazione civile.
Testimonianze dal nordest. Lo staff internazionale della ong parla
“per ora di oltre 65mila sfollati dalle zone del nord-est siriano”.
Numero destinato a salire rapidamente se le operazioni di guerra proseguiranno, e che andrà a sommarsi agli oltre 11 milioni tra sfollati interni e rifugiati in altri paesi. “Si spostano verso sud con mezzi di fortuna come carretti, o con auto e minibus dove hanno caricato tutto il possibile – spiegano da ‘Un ponte per’ –. Cercano in questo modo di portarsi in salvo ad Hassake e Tall Tamir. I racconti che arrivano dalle zone bombardate parlano di persone in preda alla disperazione. Sanno bene infatti che cosa è una guerra per averla vissuta sulla propria pelle e sanno bene cosa è successo ad Afrin, durante una precedente operazione turca”. Nel gennaio 2018 le forze turche, sostenute dall’Esercito Libero Siriano, attaccarono la città di Afrin, controllata dai curdi siriani, riuscendo dopo due mesi a conquistarla costringendo i suoi abitanti a lasciare case e terre.
“La situazione a livello umanitario è peggiorata dopo che l’aviazione turca ieri ha bombardato e messo fuori uso ad Ras al-Ain (Hassake) un impianto di distribuzione dell’acqua. Attualmente sono 400mila le persone in carenza di rifornimento idrico. Lo staff tecnico non può accedervi per ripararla a causa delle ostilità. In queste ore alcune ong stanno cercando di sopperire con cisterne di acqua ma con il prosieguo degli attacchi la situazione andrà ulteriormente a complicarsi”.
A Tal Abiad, 2 scuole sembra siano state occupate a scopo militare. Secondo quanto reso noto dall’Unicef “programmi di Protezione dell’Infanzia sono stati sospesi a Ras al-Ain, al campo di Mabrouka, Tal Halaf, Sulok e Tal Abiad”. Tra gli operatori delle diverse ong presenti nelle zone bombardate viene data “quasi per certa l’escalation dei bombardamenti. Per questo motivo ci si sta preparando per cercare di fornire i necessari servizi di assistenza sanitaria alla popolazione”.
Fronteggiare l’emergenza. “Un ponte per” è presente nella zona dal 2015. “Abbiamo 15 centri di salute, un ospedale e ne stiamo allestendo un secondo. In queste ore stiamo assistendo i feriti dai bombardamenti che arrivano nelle nostre cliniche. La nostra missione è ricostruire il sistema sanitario del nord-est siriano che è stato totalmente distrutto dalla guerra che da 9 anni imperversa nella regione. Un impegno che stava portando i suoi frutti grazie anche alla collaborazione con la comunità locale. Ora con l’attacco turco tutto è tornato in discussione”.
“Stavamo operando insieme all’Anci e alle municipalità di quelle zone per la formazione di amministratori locali nel campo della gestione finanziaria dei Comuni, del ciclo dei rifiuti, della gestione dell’acqua come bene comune di quelle comunità – aggiungono i due copresidenti di Un Ponte Per, Angelica Romano e Alfio Nicotra – la guerra rischia di buttare all’aria tutti questi progetti e di ridurre in macerie un territorio che ha dato rifugio ed ospitalità a più di un milione di rifugiati siriani provenienti da zone di guerra”. In queste ore si sta attivando anche la rete Caritas già operante da anni nel paese. In particolare le Caritas di Aleppo e Hassake, con il sostegno di Caritas Italiana e di altre Caritas estere, si stanno organizzando per fronteggiare questa nuova emergenza umanitaria. Questa nuova iniziativa bellica, ricorda Caritas Italiana, “si aggiunge a quella del governo siriano appoggiato dalla Russia a nord-ovest, nell’area di Idlib, sotto attacco da aprile 2019, e rende tutto il confine nord del paese di nuovo incandescente con milioni di persone vittime di violenze.
Una tragedia che si somma alla grave situazione umanitaria che in Siria si protrae da quasi nove anni con l’80% della popolazione in stato di povertà e oltre 11 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria e come sempre a farne maggiormente le spese sono i più vulnerabili: anziani, minori, donne, disabili”.
Intanto, dopo aver in qualche modo avallato l’offensiva turca, il presidente Usa Donald Trump sta adesso valutando l’imposizione di sanzioni alla Turchia. Analogo provvedimento potrebbe adottare l’Ue che ha risposto duramente alle parole del presidente turco Erdogan di inviare i profughi siriani in Europa. “Non accetteremo che i rifugiati siano usati come arma per ricattarci”, ha detto il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.
Fermare la barbarie. “La comunità internazionale si adoperi per fermare questa offensiva perché far precipitare in una nuova guerra le popolazioni di questa area della Siria significherebbe esporle alla barbarie. Questo non deve essere permesso” denuncia Un Ponte per. E un analogo appello arriva anche da Caritas Italiana e rivolto al Governo Italiano, all’Ue e a tutta la Comunità internazionale: “si faccia tutto il necessario per interrompere, senza condizioni, l’ennesimo eccidio e ristabilire il rispetto del diritto internazionale. Ora più che mai c’è bisogno dell’impegno e della solidarietà di tutti, perché si possa trovare una soluzione pacifica a questo ennesimo fronte di guerra e si possa rispondere velocemente ai bisogni umanitari più immediati.
Il popolo siriano, piagato da quasi nove anni di guerra che hanno causato morte, distruzione e povertà, ha bisogno di pace per ricostruire la propria vita con dignità”.
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