Dopo cinque giorni di bombardamenti turchi nel nordest della Siria, Ankara rimane ferma sulle proprie posizioni nonostante la mobilitazione internazionale contro i raid. Le forze turche, appoggiate da combattenti locali ed elementi jihadisti, sono entrate ieri a Ras al-Ain, località strategica curda al confine con la Turchia, annunciandone la presa. Secondo le autorità curde i combattimenti starebbero invece continuando, come confermato anche dall’Osservatorio siriano per i diritti umani secondo cui ci sarebbero state “esecuzioni sommarie” di almeno nove civili da parte dei miliziani filo Ankara, tra cui l’attivista Hevrin Khalaf, assassinata ieri. Circa 800 affiliati dell’Isis sarebbero poi scappati da uno dei campi in cui si trovavano. Salgono i bilanci delle vittime, anche se sul terreno rimane difficile verificare in maniera indipendente le diverse informazioni: fonti concordanti parlano di altri 40 siriani uccisi, a cui nelle ultime ore si aggiungerebbero diversi civili.
Stop all’esportazioni di armi
Cresce intanto l’isolamento turco. Alle manifestazioni di piazza contro le operazioni belliche, si è unita la condanna della Lega Araba all’“aggressione turca”, come hanno fatto sapere i ministri degli Esteri dell’organizzazione, chiedendo l’immediato ritiro delle truppe del presidente Recep Tayyip Erdoğan. Francia e Germania hanno deciso di bloccare i piani di esportazioni di armi alla Turchia. Se Ankara non manterrà “gli impegni, inclusa la tutela delle minoranze religiose, imporremo sanzioni molti dure”, ha affermato il capo della Casa Bianca Donald Trump che, secondo il segretario alla Difesa Usa, Mark Esper, sta per far evacuare circa 1.000 soldati da tutto il nord della Siria.
La testimonianza
I curdi non sono le sole vittime dell’offensiva turca. Nel nord siriano governato dalle milizie curde, vivono infatti altre minoranze tra cui i cristiani, come ricordato anche dal Papa all’Angelus. E’ ciò che sottolinea ai microfoni di Vatican News, monsignor Georges Abou Kazen, vicario apostolico di Aleppo. Difficile sapere con esattezza il loro numero: prima dell’inizio della guerra i cristiani erano presenti in tutte le principali località del territorio. Molti di loro sono fuggiti, tra il 2004 e il 2007, di fronte all’avanzata dell’Isis, ma ora la prospettiva è che altri saranno costretti all’esodo a causa dei bombardamenti e dei combattimenti in corso dal 9 ottobre scorso. Queste le parole di monsignor Kazen:
R. – Noi siamo molto preoccupati per questa offensiva. Qui non ci sono solo i curdi, ma anche tutte le altre minoranze cristiane soprattutto – assiri, caldei siriani, armeni – che hanno subito un eccidio in Turchia dalla fine del secolo XIX fino alla fine della Prima Guerra Mondiale. Qui ci sono i figli e i martiri di questa gente che ha potuto salvarsi da questo eccidio. Adesso questi vedono che le stesse persone vengono ad invadere il loro territorio. Noi guardiamo veramente con tanta preoccupazione, oltre al fatto stesso che ci troviamo di fronte ad un’invasione di un altro Paese, alla guerra, a tutto il sangue che sarà versato…
Si pensa che obiettivo di questa offensiva sia liberare quel territorio siriano dalla presenza curda per far rientrare i siriani, rifugiati in Turchia. Ma dove andranno poi i curdi?
R. – Infatti. Cosa vogliono fare? In quel territorio molta gente è rimasta al proprio posto. Queste tribù arabe, i curdi, i cristiani …. Quindi, come fanno a mettere altra gente lì al posto loro? Se i turchi hanno veramente questo in testa si arriverà ad una soluzione ancora peggiore, cioè mandare via la gente locale per mettere altre persone.
Significherebbe creare ulteriori disastri e tensioni …
R. – Certo, e poi dicono che ci sono ancora diecimila Daesh lì nelle prigioni dei curdi. Cosa farà la Turchia? Li libererà? Certo che noi guardiamo con molta preoccupazione quello che sta accadendo; perché ricorrere alla guerra? La guerra mette sempre le basi per un’altra guerra. Non è una soluzione soprattutto lì, dove ci sono tutti questi gruppi sia etnici che religiosi. È un dramma umano ciò che sta accadendo ed è anche un crimine.
La situazione siriana sembra complicarsi sempre di più. Voi vedete qualche spiraglio per una soluzione pacifica?
R. – Il guaio della Siria è che il problema non è interno. Sapete, la Siria è composta da 23 gruppi etnici e religiosi differenti. Prima erano un bel mosaico, vivevano tutti insieme, ma purtroppo con l’aiuto delle grandi potenze occidentali ora vogliono ridurre tutto ad una sola bandiera, una bandiera nera. A noi questo dispiace e fa paura.
Vi arrivano richieste di aiuto? Ce la fate ad aiutare le famiglie, i rifugiati …
R. – Noi dobbiamo ringraziare veramente la Chiesa cattolica universale, così come molti dei nostri benefattori ed organizzazioni, ong, che ci aiutano. Grazie al loro aiuto noi possiamo aiutare. Certo le richieste sono molte, ora ci sono anche questi nuovi profughi; alcuni dicono siano centomila, altri duecentomila con l’invasione turca, perché stanno bombardando con aerei, cannoni, carri armati e tutto il resto. Stiamo facendo ciò che possiamo. Vedremo come andrà a finire.
Per concludere, vuole raccomandare qualcosa, chiedere qualcosa a quanti ci ascoltano?
R. – Pregate per noi! Pregate per noi. Bisogna portare aiuto dove c’è uno stato di guerra o divisioni, non vendere le armi, ma aiutare a dialogare insieme, perché con il dialogo si può arrivare a tutto.